Un’osservata speciale: la Slovenia alla Presidenza del Consiglio UE
Dal 1° luglio al 31 dicembre 2021, la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea sarà esercita dalla Slovenia, per la seconda volta dalla sua adesione. Al primo ministro Janez Janša, appartenente allo schieramento di estrema destra slovena, spetterà il compito di fissare l’agenda politica europea, almeno per sei mesi. Tutto ciò non può che avvenire tra le preoccupazioni di Bruxelles, che ha già più volte richiamato la Slovenia al rispetto dello Stato di diritto, schierata sul fronte illiberale insieme a Budapest e Varsavia. Secondo le forze slovene, invece, questa sarebbe un’occasione per rafforzare l’integrazione europea, dimostrando come le accuse di deriva autoritaria non siano in realtà fondate. Lubiana cercherà di raggiungere questo obiettivo attraverso un programma dal nome “Insieme. Resilienti. Europa“, che si concentrerà sui seguenti 4 pilastri: ripresa, resilienza e autonomia strategica dell’UE; una riflessione sul futuro dell’Europa; stile di vita europeo, Stato di diritto e valori europei; maggiore sicurezza e stabilità del vicinato europeo.
La Presidenza del Consiglio dell’Unione europea
Il Consiglio dell’Unione europea è una delle istituzioni dell’UE. È un organo fondamentale perché “crea le leggi” dell’UE, nella maggior parte dei casi insieme al Parlamento europeo (la c.d. procedura legislativa ordinaria). Oltre al potere legislativo, il Consiglio dell’UE coordina le politiche degli Stati membri, elabora la politica estera e di sicurezza comune insieme all’Alto rappresentante, conclude accordi internazionali e adotta, insieme al Parlamento, il bilancio dell’UE.
La Presidenza è esercita a turno da ogni Stato membro per un periodo di sei mesi. Durante il suo turno lo Stato presiede le riunioni a tutti i livelli, contribuendo a garantire la continuità dei lavori dell’UE in seno al Consiglio. La Presidenza è generalmente pensata a gruppi di tre, cioè tre Stati membri che si daranno il cambio durante un periodo di 18 mesi, definiti comunemente “trio”. Questo fisserà obiettivi a lungo termine preparando un programma comune che stabilisce i temi e le questioni principali. Sulla base di questo, ogni Paese prepara un programma semestrale più dettagliato. Essere alla Presidenza, quindi, vuol dire decidere cosa sarà all’ordine del giorno per un periodo di sei mesi; inoltre, significa rappresentare il Consiglio dell’UE nelle relazioni con le altre istituzioni. Questo meccanismo è stato introdotto recentemente, solo con il Trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009.
L’attuale trio è formato da Germania, Portogallo e Slovenia. Il 1° gennaio 2022, invece, sarà il turno della Francia, un momento fondamentale per Parigi per provare a imporre il proprio peso e la propria influenza sull’intera Unione. Per ora, però, gli occhi sono tutti puntati su un unico “osservato speciale”: la Slovenia, appunto.
La svolta autoritaria in Slovenia
Paese membro dell’Unione europea dal 2004, la Slovenia ricoprirà la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea per la seconda volta. Rispetto al 2008, però, ci sono oggi delle situazioni completamente diverse: una pandemia in più, una crisi economica e sociale fortissima e una deriva autoritaria dentro i confini della stessa Unione che la riguarda da vicino, anzi dall’interno. Infatti, oltre che in Ungheria e Polonia, anche nel Paese balcanico è presente un’incombente ombra sovranista e autoritaria: alla guida del Paese siede Janez Janša, leader del Partito Democratico Sloveno, primo ministro dal 2020, forte alleato di Orbán e aperto sostenitore di Donald Trump. Durante le ultime elezioni slovene – che hanno visto i partiti di destra osteggiare fortemente la politica migratoria europea – tre società ungheresi hanno acquistato una quota del 45% di NOVA24TV.si, media che funge da portavoce del Partito Democratico Sloveno: un chiaro collegamento tra Orbán – che ha bisogno di amici nei Balcani – e il primo ministro Janša, che ha portato gli analisti politici a parlare di una pericolosa alleanza che avrebbe portato la Slovenia sulla strada del regime ungherese.
Il successo elettorale del partito di estrema destra sloveno, inoltre, ha avuto ripercussioni anche sulla libertà di stampa, uno dei temi che più preoccupa Bruxelles. Infatti, secondo il World Press Freedom Index pubblicato da Reporters Without Borders (RSF) nel 2021, dall’elezione del primo ministro Janša, la libertà di stampa è stata sempre più compressa e violata, i giornalisti sloveni e internazionali sono stati attaccati ripetutamente sui social network e c’è stato un tentativo di minare l’indipendenza editoriale e finanziaria della televisione pubblica slovena.
In una lettera aperta di 22 giornalisti sloveni, datata ottobre 2020, si legge: «non possiamo accettare come “nuova normalità” questo standard di comunicazione con i cittadini, non possiamo accettare gli attacchi contro media e giornalisti, il loro discredito e demonizzazione, attraverso cui si cerca di attribuire loro secondi fini inesistenti, spingendoli sul ring della battaglia politica. Rifiutiamo questo».
Il Parlamento europeo, lo scorso marzo, si è pronunciato sulla questione, condannando con forza gli attacchi alla libertà di stampa che stavano avvenendo in Polonia, Ungheria e nella stessa Slovenia, dichiarando che «i tentativi di danneggiare la libertà e il pluralismo dei media costituiscono un grave e sistematico abuso di potere, che contrasta con i valori fondamentali dell’UE». La questione è stata anche al centro di un lungo reportage della giornalista Lili Bayer dal titolo “Dentro la guerra ai media della Slovenia”, che espone come quasi nessuno Stato in Europa abbia mai sperimentato un calo così rapido della libertà di stampa e della libertà dei media come sta avvenendo nel Paese balcanico. La risposta di Janša è stata caratterizzata da attacchi personali alla giornalista che sono stati valutati con estrema apprensione dall’intera Unione, alla vigilia del passaggio della Presidenza proprio al primo ministro di estrema destra.
Il semestre sloveno, quindi, potrebbe essere caratterizzato da molte ombre in un periodo, però, in cui le istituzioni europee sembrano- e devono- essere più convinte di dover agire per contrastare queste svolte autoritarie. In particolare, il Parlamento europeo continua a fare pressioni sulla Commissione per attivare finalmente il meccanismo sullo stato di diritto, che permetterebbe di sospendere i fondi a quei Paesi che non lo rispettano.