Tra sciacallaggio e spettacolarizzazione del dolore
Nelle ultime settimane sono andati in onda degli episodi che potrebbero essere racchiusi in una serie tv dal titolo: “Gli sciacalli”. E no, non si tratta delle puntate di “Domenica Live” o di “Live Non è la D’Urso”: si tratta di qualcosa di molto più grave, di spettacolarizzazione del dolore, di quello che vorresti conservare nella tua parte più intima e che speri non diventi carne da macello per l’opinione pubblica.
Il caso Eriksen
Andiamo per ordine. Circa una settimana, fa durante la partita Danimarca-Finlandia degli Europei di calcio, il giocatore danese Christian Eriksen, al 43’ minuto, si accascia al suolo colpito da un malore. Tempestivi sono stati i soccorsi, soprattutto da parte dei suoi compagni di squadra- in particolare del capitano della Danimarca Simon Kjaer– i quali, sconvolti e assolutamente turbati, decidono di dare il proprio supporto attraverso un gesto commovente: creano uno scudo protettivo, parandosi intorno al proprio compagno e cercando di impedire alle telecamere di fare ciò che poi in realtà è stato realizzato, dare vita ad una diretta mondiale a spese della dignità del calciatore ferito e del dolore di familiari e amici. Uno sciacallaggio, appunto che non si ferma neanche quando i medici iniziano a praticare il massaggio cardiaco sul giocatore: le telecamere rimangono costantemente accese.
In campo scende anche la fidanzata del giocatore, totalmente sconvolta, ma questo non basta per fermare la fame di spettacolarizzazione di chi non ha rispetto del dolore altrui: su tutte le testate iniziano immediatamente a rimbalzare non solo le foto della donna in lacrime ma l’inquadratura stretta sul volto privo di sensi e sugli occhi sgranati di Eriksen. Su tutti i social, a partire da Twitter, iniziano a diffondersi i primi segnali di indignazione per l’operato dei media: «Come al solito, il caso Eriksen dà il via allo sciacallaggio più totale di giornalai che hanno come unico scopo quello di guadagnare, mettendo in prima pagina immagini a dir poco vergognose», commenta qualcuno sul noto social network riferendosi a due famose testate giornalistiche italiane.
Se da una parte il pubblico social ha criticato aspramente la strumentalizzazione dell’accaduto, dall’altro ha riservato un grande plauso al comportamento della squadra danese: «Ieri va ricordato Kjaer che ha salvato la vita ad un suo compagno e per l’immagine splendida degli altri che hanno fatto muro intorno a loro per tutelare Eriksen. Dovrebbe essere sempre questo il calcio», scrive ancora un utente di Twitter. Il gesto del muro, oltre ad essere una bellissima prova d’affetto, è anche una metafora del nostro mondo, in cui esistono dei limiti invalicabili: uno di questi è la dignità umana. Buttare in pasto al pubblico la sofferenza di un essere umano e dei suoi cari dovrebbe essere un’azione punibile, con cui si dovrebbe fare i conti, se non con la legge, almeno con la propria morale.
La tragedia della funivia
Un altro caso riguarda, invece, la circolazione del video che racconta la tragedia avvenuta il 23 maggio scorso, quando una cabina della funivia che collega Stresa con il Mottarone precipita, provocando la morte di 14 persone. Anche qui le testate non si risparmiano: viene diffuso, dapprima in tv e poi su tutti i canali social dei giornali italiani, un video di circa 52 secondi in cui si mostra la dinamica dell’incidente e gli ultimi istanti di vita delle persone coinvolte nel disastro. «Esiste un limite tra diritto di cronaca e pornografia del dolore. Oggi è stato superato. Quel video non aggiunge nulla alla notizia, solletica solo le curiosità più basse», si legge su Twitter.
Ci chiediamo quale sia la necessità di mostrare una tragedia del genere, considerando il fatto che non apporti nessun tipo di dettaglio alla vicenda, ma solo una sfacciata richiesta di click, il cosiddetto clickbait, “l’acchiappaclick”. Solo che qui, per catturare i click, non si sta parlando delle fake news sulla questione del terrapiattismo, ma di persone che non hanno avuto il tempo di realizzare che quei 52 secondi fossero gli ultimi della propria vita. È molto interessante, a questo proposito, l’intervento della scrittrice e giornalista Selvaggia Lucarelli, che scrive su Facebook: «[…] non mi è piaciuto vedere quel video (mentre però lo vedevo) e ancora meno leggere le giustificazioni di chi l’ha pubblicato, che ovviamente erano del tenore “abbiamo il dovere di fare informazione” e non più onestamente “abbiamo il dovere di fare click”. Il cinismo, che è parte di questo mestiere, non si spiega, non si giustifica, non va ammantato di buone intenzioni».
Ci sono innumerevoli definizioni di “sciacallaggio”, ma questa credo sia la più corretta: «Azione cinica compiuta a danno di chi è già in difficoltà», poiché denota non solo un forte egoismo, soprattutto se tutta la questione ha come scopo il denaro, ma anche un senso di perfidia inaudita, volta a far annegare chi non è neanche in grado di stare a galla.