Taiwan centro (degli interessi) del mondo
Siamo abituati a vedere il mondo politicamente diviso in grandi macro-frazioni, spesso contrapposte: Nord-Sud del Mondo, Primo-Terzo Mondo, sistemi Democratici-Autoritari, Occidente-Oriente… e spesso ci dimentichiamo di alcune parti del mondo che vivono ancora in un limbo secondo queste categorie come, ad esempio, il potere economico brasiliano contrapposto alla persistente povertà delle periferie del Paese stesso, o il trattamento di favore verso il Qatar da parte della FIFA, massimo ente calcistico, nonostante il mancato pieno rispetto dei diritti umani. É dunque facile comprendere come, dietro il tracciamento (e modifica) di tali macro-gruppi vi siano interessi politici ed economici.
Il caso della Repubblica di Cina (ROC), nota come Taiwan, costituisce un grande punto di dibattito dal 1949, anno nel quale la Repubblica fu sconfitta dal Partito Comunista Cinese (PCC) e dovette riparare sull’arcipelago di fronte alla Cina continentale, la cui isola principale di Taiwan finì col dare il nome alla Repubblica intera.
Dagli anni ‘50 ad oggi, il braccio di ferro tra PCC e ROC ha visto la crescente forza di Pechino surclassare Taipei: ad esempio, dal 1971, la Repubblica popolare cinese (PRC) sostituisce la ROC al tavolo dell’ONU, iniziando un lungo ma fruttuoso processo di estromissione degli avversari politici sul piano internazionale che oggi ha portato il governo di Taipei ad essere riconosciuto ufficialmente da meno di 20 Stati nel mondo. La caduta dell’URSS ed il successivo boom economico cinese hanno tuttavia riavvicinato Washington e Taipei: il potere mondiale della PRC impedisce qualsiasi azione “drastica” degli USA, ma allo stesso tempo impone una continua ricerca di alleati anti-PRC nella regione. Taiwan è così divenuta un’importantissima pedina nello scacchiere asiatico: la presidenza Obama intensificò i contatti con Taiwan, suscitando l’ira di Pechino, ma Trump cambiò rotta prediligendo un maggior dialogo (sebbene altalenante e con fini puramente commerciali) con Xi-Jinping. Il neo-eletto presidente Biden sembra essere intenzionato a seguire le orme di Obama, ma la pandemia potrebbe aver ulteriormente rimescolato le carte in tavola.
L’iniziale successo di Taiwan nella lotta al Covid-19, condiviso anche da molte altre realtà isolane, è stato recentemente ribaltato dall’arrivo della variante Delta nell’arcipelago a partire da maggio. La rapida trasmissione di questa nuova variante, unita all’allentamento delle norme anti-contagio, ha innescato una crisi sanitaria alla quale Taipei non era preparata. Alcuni incolpano il governo, guidato da Tsai Ing-Wen del DPP (Democratic Progressive Party), per la scarsa lungimiranza e i ritardi nella campagna vaccinale, fattori determinanti nell’impatto della nuova variante. Poco prima della nuova ondata di contagi, tuttavia, Taiwan era vista come modello positivo dai Paesi Occidentali in quanto la ROC non era ricorsa alle stesse misure di contenimento drastiche operate nella Cina continentale, con dati estremamente positivi. Essendo tuttavia cambiata la situazione sanitaria nella regione, con la PRC che non solo ha sviluppato un proprio vaccino ma lo ha distribuito a gran parte della popolazione, Taipei si è ritrovata così a dover chiedere aiuto. Una richiesta d’aiuto che ha attirato le super potenze con maggiori aspirazioni nella regione.
Veni, Vidi, Vaccini: la gara per vaccinare Taiwan
Cina (continentale), Stati Uniti, e Giappone hanno prontamente messo a disposizione di Taiwan milioni di dosi di vaccini: Sinovac per la Cina, Pfizer e AstraZeneca per gli altri due, dando inizio uno scontro per assicurarsi il monopolio sulla distribuzione dei vaccini nell’isola.
Date le storiche cattive relazioni tra Pechino e Taipei, si sarebbe potuta prevedere una rapida vittoria per le amministrazioni Biden e Suga, ma i ritardi nella distribuzione delle dosi e l’impennata dei contagi nell’isola ha portato Tsai Ing-Wen a considerare le proposte avanzate da Xi-Jinping.
Il Giappone è tra i primi alleati degli Stati Uniti in Asia, tuttavia egli stesso mira ad espandere la propria influenza nella regione per fini economici e politici: va dunque vista sotto questo aspetto l’importante campagna di vaccinazione messa in atto da Tokyo, fornendo 11 milioni di dosi a Paesi maggiormente in difficoltà attraverso il piano di supporto denominato COVAX.
Il tema della “Diplomazia dei Vaccini” lo abbiamo già affrontato nel caso delle relazioni tra America Latina e Pechino; nel caso di Taiwan, tuttavia, tale “diplomazia” assume una piega differente se si considera il diverso contesto geopolitico e la storica contrapposizione tra i due governi: Taipei teme che una maggiore collaborazione con Xi-Jinping possa portare maggiori benefici (economici, politici, e d’immagine) alla PRC rispetto a quelli che godrebbe la ROC, per non parlare del pericolo di insediamento di “teste di ponte” nell’isola che possano lavorare per la riunificazione/riconquista di una regione che Pechino considera da sempre di propria appartenenza.
Le ingerenze di Pechino sembrerebbero aver già pesantemente influenzato una parte della narrativa dei media riguardo la crisi dei contagi: People’s Daily, testata vicinissima al PCC, ha riportato la notizia di numerosi cittadini di Taiwan (definiti “compatrioti”) trasferitisi sul continente per ricevere le dosi vaccinali carenti sull’isola. Lo stesso giornale aggiunge che fonti interne al governo di Taipei esprimerebbero gratitudine per il sostegno e l’aiuto offerto da Pechino. Sebbene verosimile, un tale scenario però nasconde un retroscena altrettanto interessante: secondo quanto dichiarato dal DPP, il governo sarebbe entrato in contatto con alcune imprese di Shanghai per la distribuzione dei vaccini Pfizer (prodotti in Germania); l’intervento di Pechino, tuttavia, pare abbia impedito il raggiungimento di un accordo. Si tratta di accuse non ancora comprovate, ciononostante non sarebbe del tutto illogico pesare che il PCC abbia fatto pressione su imprese “domestiche” per impedire una trattativa non autorizzata dal partito con una regione considerata come secessionista. Pechino, naturalmente, nega tali accuse e sposta l’attenzione sui ritardi delle consegne statunitensi per potersi presentare come il partner più affidabile nella lotta al Covid: la distribuzione di Sinovac nel mondo mette certamente Pechino nella condizione di poter rivaleggiare con USA ed Unione europea. La chiave del successo, dunque, rimane il tempismo e l’efficacia dei vaccini sulle varianti.
Taiwan si è dunque trovata davanti ad una situazione carica di rischi. L’accoglimento dell’aiuto di Pechino avrebbe forse indebolito la credibilità politica del DPP, ma la popolazione avrebbe potuto ricevere il vaccino dalla terraferma in tempi e quantità utili per fare la differenza; il prezzo del rifiuto a Pechino, d’altro canto, avrebbe potuto essere il totale discredito del governo. In questo scenario, sia USA che Giappone avrebbero finito col lasciare un importante alleato entrare nella sfera d’influenza di Pechino.
Tuttava, lo scorso 24 maggio, Kentaro Sonoura (consigliere del precedente primo ministro Shinzo Abe) si è riunito con Hsieh Chang-ting (ambasciatore de facto di Taiwan in Giappone) e con Joseph Young (attuale ambasciatore statunitense in Giappone) per studiare una controproposta da presentare a Taipei. Tokyo avrebbe proposto di fornire quante più dosi AstraZeneca possibili in suo possesso e rimaste inutilizzate, con la promessa che Washington si sarebbe aggiunto in un secondo momento con ulteriori rifornimenti (scatenando la risposta di Pechino). Già il successivo 9 giugno, 1.24 milioni di vaccini arrivavano a Taiwan dal Giappone con la benedizione di Biden.
Il pressing su Taipei, però, è solamente in parte riconducibile alla gravità della situazione sull’isola: Tokyo e Washington hanno tentato di cogliere di sorpresa Pechino, mettendola davanti al fatto compiuto, in modo da minimizzare al massimo ogni possibile atto di rappresaglia contro i tre. Per il Giappone, il prezzo da pagare è stato un peggioramento delle relazioni con la Cina continentale e la minaccia di restrizioni sulle esportazioni di minerali da Pechino a Tokyo; il Primo Ministro Yoshihide Suga, tuttavia, ritenne sostenibili tali attacchi. La posta in gioco era troppo alta.
L’importanza di Taiwan
La partita non è affatto finita e difficilmente ci sarà un vero vincitore nell’immediato (una volta risolta la crisi pandemica, s’intende). Da quanto detto finora sembra emergere un’immagine caleidoscopica di Taiwan: una realtà politica che non gode nemmeno di un riconoscimento ufficiale in gran parte del mondo, ma per la quale due potenze come Giappone e USA sembrano disposte a scontrarsi con Pechino. Quante, e quali, “Taiwan” possiamo individuare in quanto detto finora?
Anzitutto, abbiamo visto la nascita dell’identità storica e politica dell’isola con la fine della guerra civile tra Nazionalisti e Comunisti Cinesi, con i primi che furono “espulsi” dalla terraferma sull’arcipelago oltre lo Stretto di Taiwan. Da allora la Repubblica Popolare Cinese ha sempre tentato di (ri)conquistare quel territorio, considerato da Pechino come una propria regione a tutti gli effetti ma ancora sotto il controllo di un manipolo di ribelli secessionisti. Dal canto suo, la Repubblica di Cina dichiara di essere l’unico erede legittimo di quello Stato che venne a formarsi dopo la caduta dell’Impero (1911): secondo Taiwan, il PCC fu la vera forza sovversiva armata da potenze straniere (la Russia Sovietica) per destabilizzare un Paese ancora troppo fragile e preda dell’imperialismo nipponico. La riorganizzazione politica operata da Mao nella Cina continentale semplicemente non esiste per Taiwan, come ad esempio la semplificazione della lingua cinese (operata nel 1956): sull’isola, come ad Hong Kong e Macau, si utilizzano infatti ancora i caratteri tradizionali. Questa forte contrapposizione ha modellato la cultura di Taiwan e il senso di appartenenza definito dal contrasto con la Cina continentale.
Per quanto riguarda Washington e Tokyo, Taiwan rappresenta un asset fondamentale in Asia. Come fu Cuba per l’URSS, l’arcipelago situato di fronte alla Repubblica Popolare Cinese offre un’opportunità strategica di massima importanza. Il Giappone, in particolare, vede l’indipendenza di Taiwan come essenziale per la propria sicurezza interna, data la vicinanza dell’arcipelago con le isole giapponesi più meridionali (come Okinawa). Lo stesso Ministro della DifesaYasuhide Nakayama si è espresso a favore di un maggiore investimento in armamenti. Un governo filo-giapponese a Taipei, inoltre, continuerebbe a favorire gli interessi commerciali e politici di Tokyo permettendo un più facile accesso ad altri partner economici (come il Vietnam, la Birmania, o l’Indonesia) senza le ingerenze di Pechino.
Infine, Washington non solo condivide con Tokyo le medesime esigenze e necessità strategiche, ma punta alla creazione di una grande sfera d’influenza attraverso forti investimenti in infrastrutture locali in Asia, sul modello della BRI (Belt and Road Initiative) promossa da Pechino che ha finora riscosso solo un parziale successo. In questo progetto statunitense Taiwan fungerebbe da fondamentale snodo per “entrare” nel continente asiatico senza dover confrontarsi né con Pechino né con Mosca.
Risulta adesso più chiaro come dietro alla “diplomazia dei vaccini” vi siano numerose altre ragioni e storie da conoscere e capire per poter affrontare una problematica all’apparenza tristemente comune in tempi di pandemia, quale la carenza di vaccini disponibili per la popolazione.
La salvaguardia dell’indipendenza e della sicurezza Taiwan è di vitale importanza non solo per i nazionalisti cinesi, ma anche per le potenze che si contrappongono al PRC. A tal proposito il PCC, che quest’anno celebra il centenario della sua fondazione, ha chiaramente ribadito come le relazioni con l’isola siano “affari interni” alla politica nazionale cinese, condannando così ogni intervento esterno.
Nel mezzo di questi due fuochi incrociati, lo abbiamo visto, si trova la popolazione civile dell’isola: vi è chi è riuscito (o ha preferito) a vaccinarsi sul continente con Sinovac, chi ha potuto resistere fino all’arrivo delle prime dosi da Giappone e Stati Uniti e chi resta ancora in attesa; molte voci si sono sollevate criticando il governo per non aver preso in considerazione l’offerta d’aiuto (non disinteressata) di Pechino, accusandolo di rimanere prigioniero di un’ideologia che poco può contro la pandemia. Il dilemma di Taiwan è dunque lo stesso di molti mondi che si trovano -per motivi storici o politici- nel limbo delle macro-categorie menzionate in apertura: un Paese conteso tra grandi potenze per le sue proprietà economiche o strategiche, influenzato da profonde ideologie e/o alleanze e troppo vicino ai propri “rivali storici”.
La contesa di Taiwan per la distribuzione dei vaccini non è altro che una battaglia all’interno di una più complessa e lunga guerra di nervi tra due schieramenti, ognuno con i propri interessi, ognuno con il proprio peso specifico. L’unica cosa certa è la rilevanza fondamentale dell’isola nel panorama mondiale, a prescindere dalle simpatie di parte.