Si torna a scuola… di parità
La scuola si basa da sempre sul principio dell’educazione (dalla parola latina ex-ducere, trarre fuori), che si lega al principio della formazione. Una formazione che ha cambiato tantissimi volti, sin dalla costituzione dell’istituzione della scuola: dal magistro-centrismo al puer-centrismo; dalla Legge Casati alle contestazioni del ‘68; dalla scuola d’élite alla scuola di massa. Anche i programmi ministeriali sono profondamente mutati nel corso degli anni, soprattutto quelli umanistici: da elenchi di contenuti da imparare al Liceo classico (unico liceo adibito all’istruzione secondaria durante il periodo post-unitario) alla riforma Gentile del 1923, che promuoveva programmi essenziali e il dialogo tra alunni e insegnanti, a discapito di mere informazioni da memorizzare. Dal punto di vista della didattica della letteratura italiana, i programmi ministeriali non sono granché mutati, tralasciando l’aggiunta di scrittori e poeti nel corso del tempo. Dal secondo dopoguerra, però, la maggior parte degli autori studiati è rimasta cristallizzata: Dante, Petrarca, Boccaccio; Ariosto, Tasso, Machiavelli, Guicciardini, Parini; e poi ancora Manzoni, Leopardi, Carducci, Verga, Foscolo, Pascoli, D’Annunzio, Svevo, Pirandello, Saba ecc…
Il critico Romano Luperini afferma che in realtà il problema dei programmi ministeriali «diventa complicato quando si parla di contemporaneità». Sì, ma quando comincia la contemporaneità? Nel dopoguerra, quindi post 1945, o in quello che viene definito post-modernismo, negli anni ‘70? Tra l’altro, il critico letterario pone l’accento anche sulla presunta scomparsa dello scrittore-intellettuale negli anni del digitale, dovuta a processi di depoliticizzazione e di deidentificazione del soggetto. Questi interrogativi sono intriganti e avvincenti, ma in tutto questo è come se ci fosse un pezzo mancante: che ruolo hanno le autrici donne in questi programmi? Possibile che nessuno si sia mai posto il problema dell’assenza di una parte alquanto significativa della popolazione?
I programmi irrinunciabili
In alcuni manuali di didattica e pedagogia si riprende un concetto che racchiude probabilmente tutto il senso sociale del nostro tempo: la complessità. Una complessità di cui, però, si disquisisce solo a voce e sulla carta (ma neanche troppo). Si parla spesso di come poter affrontare le problematiche dei giovani attraverso le materie scolastiche, in particolare attraverso la letteratura, considerando l’analfabetismo della maggior parte dei docenti rispetto agli strumenti e alla logica delle giovani menti. Premettendo una citazione di Mario Barenghi in “Cosa possiamo fare con il fuoco?”, secondo cui: «La letteratura serve a sopravvivere, a evadere» e che attraverso la letteratura possiamo esplorare un’infinità di mondi, la domanda sorge spontanea: perché i mondi da esplorare nella scuola italiana devono essere rappresentati solo da uomini bianchi e adulti? E soprattutto, date le (sofferte) riforme approvate nel corso degli anni, non sarebbe possibile inserire all’interno del canone letterario delle autrici?
Chiaro è che non si può parlare di un processo di sostituzione, dato che il canone italiano prevede lo studio di autori imprescindibili e, se vogliamo, geniali, le cui opere riflettono un mondo passato, ma avrebbero tutti i requisiti per riferirsi alle condizioni sociali e politiche del mondo contemporaneo (l’inquietudine di Petrarca, la psicanalisi di Svevo-Zeno, la fuga dalla realtà di Pirandello, i canti politici di Dante, ecc.). Si tratterebbe tuttalpiù di un processo di addizione: Grazia Deledda e il racconto della sua amata Sardegna attraverso l’indagine dell’animo umano, Matilde Serao e il racconto sociale e verista di Napoli, Natalia Ginzburg e i suoi racconti antifascisti e di denuncia sociale contro gli squilibri di potere nella sua casa editrice, ecc. Tra queste autrici, vi è chi ha conseguito il Premio Nobel (Deledda), chi ha dato testimonianza della storia (Morante e Ginzburg), chi ha denunciato lo squallore sociale del proprio tempo; chi, insomma, è stata protagonista del proprio tempo e chi lo ha egregiamente raccontato, nonostante non le sia riconosciuto un posto all’interno dell’istituzione scolastica italiana. Andando a ritroso, è stata la stessa Maria Montessori a cambiare profondamente il sistema educativo nel 1909 con “Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini”: l’educazione infantile, da quell’anno in poi, si sarebbe concentrata sulle infinite potenzialità di un bambino, e non sul rigore disciplinare. Un cambiamento enorme, quasi epocale: di lei non vi è neanche l’ombra nelle antologie.
Addizionare, più che sostituire: la base della parità
Il processo di addizione non risulta un’ impresa impossibile verso la parità nelle scuole (quantomeno nei programmi), se consideriamo, per esempio, un programma come quello dei Paesi anglosassoni, in cui:
- Non esiste un canone con autori “irrinunciabili” (escluso Shakespeare);
- Le scelte da parte dell’insegnante prevedono la narrativa di alcuni autori prima del 1914 e dopo il 1914;
- Lə autorə della lista sono all’incirca 130.
Nel suo testo “La letteratura in classe”, l’insegnante Guido Armellini si riferisce al programma anglosassone affermando che: «[…] le donne – altra differenza dal nostro canone – sono ben rappresentate in ogni parte dell’elenco», tanto che all’interno della lista, paradossalmente, non è inserita Virginia Woolf, ma Katherine Mansfield, Muriel Spark, tra le altre.
È chiaro che la richiesta di riformare il canone letterario non debba essere un’azione di pinkwashing: è inutile porre scrittrici donne all’interno del piano di studi solo perché scrittrici e donne per colmare formalmente il gap della parità di genere. Il discorso esula da questa presa di posizione: è però lapalissiano che, soprattutto nel corso del Novecento in Italia, ci sia stata una proliferazione di autrici protagoniste della storia e narratrici di quella stessa storia che immaginiamo solo con gli occhi dei loro colleghi uomini; scrittrici che sono meritevoli di considerazione e creatrici di antologie ricche di paragrafi con le loro opere evidenziate. Per iniziare a rendere la complessità, dovrebbe essere d’obbligo partire dalla parità: speriamo in un futuro in cui “Canne al Vento” di Grazia Deledda abbia la stessa dignità antologica e scolastica dei “Malavoglia”, anche se, ricordiamo con un filo di ironia, Verga non ha mai vinto un Premio Nobel.
Editing e fact checking a cura di Alice Spada