Si può generare la coscienza in laboratorio? Gli organoidi cerebrali
Immaginate di camminare tra i corridoi delle più prestigiose Università mondiali. Stanford, Harvard, il Massachusetts Institute of Technology (MIT) e perfino Cambridge. Entrate nei padiglioni dei Dipartimenti di Biologia e poi nei laboratori veri e propri. In ognuno di essi, senza eccezione, troverete delle chiare sfere dalle dimensioni di piccoli legumi che fluttuano nelle piastre Petri: riuscireste a immaginare di poter riconoscere, in esse, dei modelli del vostro stesso cervello?
Come si studia il sistema nervoso umano?
Le piccole strutture sferiche sopra descritte sono note alla comunità scientifica con il nome di organoidi cerebrali, conosciuti invece come mini-brains, ossia mini-cervelli, dal grande pubblico. Il loro studio è piuttosto recente, se si considera che il primo articolo scientifico a riguardo è stato pubblicato solo nel 2013. Fatti crescere a partire da cellule staminali umane, questi modelli cerebrali promettono di rivoluzionare lo studio del sistema nervoso umano.
Il cervello umano contiene circa 1012 neuroni e ogni neurone ha circa 103 connessioni, chiamate sinapsi, con altri neuroni. Numeri davvero giganteschi, che facciamo fatica a comprendere. Questo articolato sistema garantisce la nostra sopravvivenza e costituisce effettivamente ciò che siamo, ma la sua complessità rende problematico lo studio di quest’organo. Se, da un lato, i modelli animali hanno consentito di muovere enormi passi avanti nell’ambito della ricerca, dall’altro la limitata capacità di ricapitolare effettivamente quanto accade nella nostra testa li rende utili solo in parte. D’altro canto, studiare direttamente il cervello umano è impossibile, non solo per questioni etiche – che, da sole, sarebbero comunque un sufficiente deterrente – ma anche perché, come scrive Henry Greely, professore alla Stanford University: «gli esseri umani sono dei terribili animali da laboratorio. Imbrogliamo, mentiamo, abbiamo lunghi tempi generazionali e seri diritti – e avvocati per farli valere».
Tuttavia, è impossibile tralasciare lo studio del sistema nervoso, soprattutto considerando quanto siano debilitanti le malattie che lo colpiscono e quanto poco ancora esse siano conosciute e curabili. I modelli che riproducono, almeno parzialmente, il nostro sistema nervoso possono sicuramente aiutarci.
Organoidi cerebrali: che cosa sono e che cosa potrebbero diventare
Gli organoidi cerebrali sono modelli tridimensionali del sistema nervoso, fatti crescere da cellule staminali umane che poi si differenziano in neuroni. Questo si traduce nella loro capacità di ricapitolare la complessità dei diversi tipi di cellule che compongono il cervello umano, i processi di organizzazione autonoma dei tessuti e l’organizzazione generale dell’organo di partenza, rendendo, di fatto, lo studio del sistema nervoso incredibilmente più accessibile.
Tuttavia, sembra che gli organoidi cerebrali possano nascondere alcune insidie etiche. Nel 2019 uno studio del team di Alysson Moutri dell’Università della California a San Diego ha dimostrato che questi modelli possono generare dell’attività elettrica, così complessa da poter essere misurata e correttamente analizzata da un algoritmo tarato sull’attività cerebrale di neonati prematuri. Nello stesso anno, alcuni ricercatori del laboratorio di Madeline Lancaster a Cambridge hanno inserito degli organoidi cerebrali in un circuito motorio, i quali si sono poi dimostrati in grado di generare output motori funzionali. Appena due mesi fa, lo scorso agosto, un gruppo di ricercatori tedeschi ha fatto parlare di sé per essere riuscito a modellare vescicole ottiche funzionali, precursori dell’occhio, in organoidi cerebrali.
Questi recenti passi avanti nello sviluppo e utilizzo degli organoidi non sono passati inosservati alla comunità etica, che cerca sempre più di richiamare l’attenzione sui rischi derivanti da queste pratiche e sulla necessità di regolamentare il campo della ricerca in maniera adeguata. In particolare, la capacità degli organoidi di generare attività elettrica e di ricevere, ma anche inviare, segnali ha fatto crescere la preoccupazione che questi modelli possano sviluppare una forma basilare di coscienza. Nonostante la comunità scientifica sia per ora d’accordo sul fatto che nessun organoide cerebrale sia cosciente, il problema etico rimane e va analizzato, considerando quanto velocemente si sia mossa la ricerca in così pochi anni. Come scrive il professor Andrea Lavazza del Centro Universitario Internazionale di Arezzo, gli organoidi cerebrali «potrebbero diventare uno strumento straordinario per penetrare i segreti della coscienza, ma, d’altro canto, la stessa apparizione della coscienza in essi costituisce un limite invalicabile per [il loro] utilizzo a questo proposito».
L’emersione della coscienza in questi modelli andrebbe anche a modificare la maniera in cui sono usati nella ricerca. La domanda che rimane aperta e richiede di essere approfondita ulteriormente è proprio quella di Greely: «If it looks like a human brain and acts like a human brain, at what point do we have to treat it like a human brain – or a human being?».
Editing e fact checking a cura di Alice Spada