Quando il cervello non sopporta di non sapere: confabulazione e split-brain
L’etimologia del verbo “confabulare” è da ricercarsi nel latino fabŭla, ovvero favola. E proprio la favola diventa il punto di partenza per parlare di una delle caratteristiche più strane del cervello: l’incapacità di accettare la propria ignoranza, anche a costo di inventare storie completamente false.
La confabulazione come sintomo
La confabulazione è una condizione comune a molte malattie neurologiche e psichiatriche: schizofrenia, sindrome di Korsakoff e altri disturbi possono portare il cervello a confabulare. Quando a pazienti che presentano questo sintomo viene posto un quesito che richiede l’attivazione di aree cerebrali danneggiate, piuttosto che semplicemente riconoscere di non sapere, essi raccontano storie inventate, quasi come se stessero involontariamente cercando di nascondere il problema.
Già dalla fine del XIX secolo si iniziò a far luce sui primi casi di storie immaginate di sana pianta dai pazienti, come quella riportata da Sergej Korsakoff, neurologo e psichiatra russo, che darà il nome alla particolare forma di demenza causata dal consumo eccessivo di alcool. Korsakoff descrisse così la sintomatologia di uno dei suoi pazienti: «Quando gli veniva chiesto di raccontare in che modo avesse passato il tempo, il paziente molto spesso riferiva una storia completamente differente da quella effettivamente avvenuta; per esempio, diceva di essere andato il giorno precedente in bicicletta per un giro in città, mentre di fatto era stato a letto per due mesi, o raccontava di conversazioni mai avvenute».
Questi pazienti raccontano storie, però, senza l’intento di mentire. Morris Moscovitch, professore di Neuropsicologia all’Università di Toronto, ne parla come una forma di honest lying. Ma come è possibile che il cervello sia così bravo ad ingannare sé stesso pur di non ammettere l’ignoranza?
L’ipotesi dell’interprete
I pazienti che hanno subito una commissurotomia del corpo calloso (un delicatissimo intervento neurochirurgico) hanno inavvertitamente aperto una nuova strada per studiare la capacità confabulatoria del cervello. Il corpo calloso, infatti, è il fascio di fibre che connette i due emisferi, permettendo il passaggio di informazioni; queste viaggiano sotto forma di segnali elettrici che possono diventare un problema quando sono disregolati, come nelle forme gravi di epilessia. In questi casi, si può decidere di recidere questo ponte tra i due emisferi, così da bloccare il passaggio dei segnali e potenzialmente salvare la vita al paziente, che però si ritrova con un cervello diviso, un fenomeno denominato “split brain”.
Tuttavia, alcune delle funzioni cerebrali superiori non sono distribuite in entrambi gli emisferi, ma sono lateralizzate: ad esempio, solitamente l’emisfero sinistro è responsabile del linguaggio, mentre il destro è più specializzato nel riconoscimento delle espressioni del viso. E se generalmente il corpo calloso permette ad entrambi gli emisferi di sapere che cosa stia facendo l’altro, nel caso degli split-brain questo non accade più. Ma se il linguaggio è lateralizzato a sinistra, che cosa succede, quindi, quando si chiede ai pazienti di spiegare verbalmente il comportamento della mano controllata dal “muto” emisfero di destra? Michael Gazzaniga e Roger Sperry, neuropsicologi statunitensi, si sono posti la stessa domanda e per anni hanno studiato gli split-brain per trovare una risposta. Dato che la comunicazione è interrotta, l’emisfero sinistro non ha idea di che cosa stia succedendo: quello che gli rimane da fare è osservare, come farebbe una persona esterna, le azioni della mano controllata dall’emisfero destro. Che cosa rispondere, quindi, quando è richiesta una spiegazione? Nonostante la soluzione più ovvia sia quella di dire: «Non lo so», questo non è mai quello che accade. L’emisfero sinistro interpreta il comportamento mediato da quello di destra e, in maniera conforme alle conoscenze possedute, inventa una storia. Ecco di nuovo la confabulazione dell’emisfero di sinistra, emisfero che diventa interprete e mantiene coerente la nostra storia personale, anche a costo di mentire a sé stesso.
Due cervelli, due coscienze?
Gli studi di Gazzaniga e Sperry sugli split-brain sembrano suggerire che, quando la via di comunicazione tra emisferi viene recisa, di fatto ci ritroviamo con due cervelli, a cui fanno riferimento due diverse esperienze coscienti.
Una recente ricerca del gruppo di Yair Pinto all’Università di Amsterdam sembra però smentire questa visione così radicale. Secondo i ricercatori, anche quando gli emisferi sono completamente isolati l’uno dall’altro, l’individuo mantiene la sua integrità: due cervelli non sono uguali a due coscienze divise.
Come spiegare, quindi, la confabulazione dell’emisfero di sinistra negli split-brain? Sembra che questo sia ancora un mistero e che, potenzialmente, sia destinato a rimanere tale: la procedura di commissurotomia del corpo calloso è sempre più rara e i pazienti dei primi esperimenti sono sempre meno.