L’Ungheria e la nuova legge anti-LGBTQ
Proprio all’interno dell’Unione europea, uno Stato membro ha appena approvato una legge che viola molti – se non tutti – principi alla base della stessa Unione e dei diritti umani fondamentali riconosciuti a livello internazionale. Negli scorsi giorni, infatti, l’Ungheria è tornata ad essere nuovamente protagonista grazie a un’ulteriore stretta ai danni della comunità LGBTQ: dopo aver costituzionalmente eliminato l’esistenza delle persone transgender, garantendo il «diritto dei bambini di auto-identificarsi con il sesso con cui sono nati», e dopo aver affermato che una famiglia è legittima «solo se formata da uomo e donna», il partito Fidesz, attualmente al governo, porta ora avanti una legge contro la “propaganda LGBTQ” in presenza di minori.
Un declino democratico, quello ungherese, che diventa ogni giorno più chiaro. Un autoritarismo, su modello russo, che cresce proprio sotto gli occhi di Bruxelles. Può l’Unione europea rimanere ancora in silenzio dopo l’ennesima violazione di diritti umani, mettendo a repentaglio la sua stessa credibilità?
La nuova legge contro “la propaganda LGBTQ”
Lo scorso 15 giugno, il Parlamento ungherese ha approvato una legge che prevede il divieto di condivisione, in presenza di minori di meno di 18 anni, di qualsiasi contenuto che promuova oppure affronti il fenomeno dell’omosessualità o cambio di sesso. Paragonando, in sostanza, questi due fenomeni alla pedofilia, la legge avrà ripercussioni in primis sui luoghi scolastici ma anche sul cinema, serie tv, libri e persino pubblicità (dopo l’eclatante caso della pubblicità della Coca cola del 2019, con protagonista una coppia di due uomini). La legge è stata approvata con 157 voti a favore e solo 1 contrario, dopo che i partiti all’opposizione hanno tentato di boicottare la votazione, non partecipandovi. Nulla che potesse preoccupare il partito di governo, che gode di una maggioranza assoluta e che, in questo caso, ha potuto beneficiare anche dell’appoggio del partito di estrema destra Jobbik.
La legge presentata dal partito di Orbán, che il prossimo anno dovrà affrontare le elezioni nazionali, aveva come motivo “ufficiale” la protezione dei minori. Proprio il segretario del partito Fidesz, Csaba Domotor, ha ulteriormente posto l’attenzione su questo, affermando che proprio grazie a questa legge «i pedofili non potranno più nascondersi. [..] Le punizioni saranno più severe. Nessuno può farla franca con punizioni leggere e libertà vigilata». La realtà delle cose però è ben altra: inserire in questo quadro una disposizione che vieta la diffusione di contenuti riguardanti l’omosessualità o il cambio di sesso significa calpestare, in modo nemmeno celato, tutti quei valori che consideriamo fondanti in una democrazia. Molte sono state le organizzazioni civili che si sono opposte a tutte ciò, su tutte Amnesty International Hungary. Le associazioni che si sono schierate contro questa legge ne hanno sottolineato, poi, l’estrema somiglianza con una disposizione russa, approvata nel 2013. Anche in Russia, infatti, vi è una legge che vieta la diffusione della propaganda di rapporti sessuali non tradizionali in presenza di minori. C’è da chiedersi come possa tutto ciò essere compatibile con i valori europei. Può uno Stato membro dell’UE prendere ad esempio un regime autoritario come quello russo? La risposta ci viene suggerita dall’ultimo rapporto di Freedom House che mette in guardia su quanto la democrazia sia messa a dura prova anche all’interno dei confini dell’Unione e l’Ungheria ne è certamente una prova.
La svolta antidemocratica dell’Ungheria: l’allarme di Freedom House
«La democrazia sta perdendo terreno mentre in Europa si sta facendo strada una svolta antidemocratica». È quanto affermato da Freedom House, un’organizzazione non governativa che conduce ricerche su democrazia e libertà politica. Il suo rapporto annuale, Nations in Transit, misura i progressi e/o le battute d’arresto nel processo di democratizzazione di 29 Paesi dell’Europa centrale e dell’Asia centrale. Per quanto riguarda l’Ungheria, secondo gli ultimi report, il Paese ha registrato il peggior declino di sempre e, ad oggi, non può più essere considerato una democrazia. Infatti, Freedom House sostiene come quello di Budapest debba essere classificato tra i “regimi ibridi”. Su un punteggio da 1 a 7, dove 7 rappresenta il livello più alto di progresso democratico e 1 il più basso, il suo punteggio di democrazia è ad un livello critico: 3 su 7. La discriminante è senza dubbio l’assenza di un modello di stampa libero e pluralistico, a cui si aggiungono le gravi violazioni perpetrate nei confronti delle persone LGBTQ. La situazione è peggiorata durante la pandemia, grazie alla quale il governo ha potuto ampliare i suoi poteri, senza incontrare grandi ostacoli.
E nei giorni in cui Orbán propone di revocare i poteri assegnati al Parlamento europeo, è necessario che i principi comunitari vengano riaffermati. Infatti, in un momento in cui la credibilità delle istituzioni europee è messa a dura prova, soprattutto per quanto riguarda il suo ruolo nella difesa dei diritti umani, Bruxelles non può rimanere in silenzio. Si tratta di difendere la sua credibilità interna – come possono i leader europei essere credibili agli occhi degli Stati membri se possono essere adottate questo tipo di leggi e possono essere diffuse dichiarazioni contro le stessi istituzioni senza conseguenze? – ma anche di credibilità esterna, per il ruolo dell’UE come difensore dei diritti umani: come può chiedere il rispetto dei diritti umani all’esterno, senza riuscire a garantire lo stesso neanche all’interno dei suoi confini?
Nei giorni scorsi, 13 Paesi membri hanno firmato una dichiarazione congiunta durante il Consiglio Affari Generali dell’UE, tenutosi in Lussemburgo. La dichiarazione, firmata da Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Svezia, si scaglia contro la legge approvata in Ungheria, definendola «una palese forma di discriminazione e stigmatizzazione nei confronti delle persone LGBTQI, a causa del loro orientamento sessuale, identità ed espressione di genere» e sollecitando la Commissione europea a un’azione rapida. Perché se c’è un momento adatto per la Commissione di usare tutti i poteri a sua disposizione per salvare la sua credibilità e coesione interna, questo è il momento.