Le proteste a Cuba
A pochi mesi dal cambio di leadership nei vertici del Partito Comunista, Cuba è attraversata da una nuova ondata di proteste. Oggi i fratelli Castro non sono più alla guida del Paese e la nuova classe dirigente viene guidata da Miguel Díaz-Canel, già presidente della Repubblica e di recente salito anche al vertice dei quadri di partito come primo segretario, dopo l’uscita di scena proprio di Raul Castro. Si tratta del primo leader nato dopo la Rivoluzione del 1959.
Le cause delle proteste
La situazione che si trova a fronteggiare l’isola viene definita da alcuni analisti come la più grave crisi dal Maleconazo del 1994. Ma quali sono gli elementi di continuità tra le proteste del ‘94 e quelle odierne?
Sicuramente tra gli elementi che accomunano i due episodi di mobilitazione popolare vanno sottolineati il dissenso verso le politiche del governo e una situazione economica precaria, i sempre più ricorrenti blackout elettrici e le difficoltà di approvvigionamento per alcuni beni materiali fondamentali per la sussistenza di un popolo che, all’ora come oggi, sembra sia arrivato allo stremo.
Se le cause dei fenomeni del 5 agosto del 1994 sono da ricercare nelle conseguenze geopolitiche derivate dalla fine della Guerra Fredda che aveva visto Cuba essere per lungo tempo oggetto di contesa tra le due superpotenze USA-URSS; oggi la crisi economica e l’esaurimento del regime castrista possono essere considerate la principale miccia di un focolaio mai del tutto spento.
Non a caso, uno degli slogan-simbolo delle manifestazioni in corso è “Patria y Vida”, verso preso in prestito da una canzone rap scritta da un gruppo di artisti locali, che rappresenta un chiaro, esplicito e ponderato gesto provocatorio che va a capovolgere lo slogan “Patria y Muerte” che ha accompagnato la rivoluzione di Fidel Castro. Lo slogan di piazza più cantato invoca al tramonto di un regime considerato ormai da molti troppo distante dalla vita delle strade di Havana anche se, ora come all’epoca, i manifestanti vengono considerati del governo comunista manipolati e influenzati da forze esterne al Paese: tra tutti gli Stati Uniti.
Ad aggravare la situazione attuale ci sono senza ombra di dubbio anche la situazione politica di stallo ereditata dall’era castrista che non ha permesso un rinnovamento nell’assetto politico del Paese; la cattiva gestione della pandemia da coronavirus che ha causato una carenza nelle scorte di medicinali bloccando infrastrutture sanitarie inadeguate e intaccando gravemente la reputazione che il governo cubano vanta da decenni: ovvero quella di avere uno dei sistemi sanitari migliori delle Americhe. Il tutto a discapito anche della produzione di un proprio vaccino anti-Covid.
Proprio il Covid-19 ha fatto crollare il PIL cubano quasi del 10% gravando sul settore turistico e su quello dell’importazione. Secondo il presidente Díaz-Canel l’unico responsabile della crisi sarebbero gli Stati Uniti che a causa dell’embargo e delle sanzioni economiche (aggravate durante la presidenza Trump) avrebbero messo in ginocchio il Paese. Senza contare, poi, le accuse dirette alla CIA di fomentare dall’interno le proteste nell’isola.
Le restrizioni nella circolazione e negli scambi commerciali tra i due Paesi al momento vietano qualsiasi metodo di finanziamento degli acquisti di scorte alimentari e di fatto consentono a Cuba di comprare cibo soltanto in contanti o in dollari, materiale economico che scarseggia sull’isola.
Ciò che è certo, tra un rimbalzo di responsabilità ed accuse, è che questa ondata di proteste non è destinata a passare in sordina a causa dell’utilizzo e dell’impatto dei social media, come enfatizzato da John S. Kavulich, presidente dell’U.S-Cuba Trade and Economic Council al New York Times. Lanciandosi in un paragone con la crisi economica degli anni Novanta Kavulich ha sostenuto, infatti, che in passato la situazione «era molto peggiore, ma le comunicazioni su quello che stava succedendo erano sotto controllo, perché non c’erano i mezzi che esistono oggi».
In conclusione, non è ancora chiaro se nel lungo periodo le proteste riusciranno a mantenere l’impeto dirompente della prima settimana né quali saranno le conseguenze. Ad oggi il governo sta adottando una strategia che alterna la repressione violenta a limitate concessioni, il che lascia ancora più incertezza sui futuri risvolti delle manifestazioni.