Le presidenziali francesi tra astensionismo e proteste dei giovani
Di Nicolò Morocutti
A pochi giorni dal secondo turno delle elezioni presidenziali, sono vari gli slogan degli studenti e studentesse francesi che risuonano tra le strade di Parigi: dal più moderato e presentabile “Ni Macron, Ni Le Pen” (“Né con Macron, né con Le Pen”) allo storico, e più esplicito “Ni Peste, ni Cholèra” (“Né la peste, né il colera”) che ben sottolinea gli umori nei confronti della scelta tra i due contendenti. La storia di quest’ultima espressione ha qualcosa di simbolico: la radio France Culture sostiene che sia stata utilizzata la prima volta alle elezioni del 1969 dal Partito Comunista, probabilmente inorridito dalla scelta inevitabile tra il gollista Pompidou e l’allora sfidante Alain Poher del Centre Dèmocrate.
Di quella Francia oggi rimane poco, salvo forse il forte risentimento di una specifica parte di elettorato; la stessa che a queste elezioni ha sperato nell’impresa del principale candidato di sinistra Jean Luc Mèlenchon, fermatosi al primo turno col 21,9%. Se il risultato finale, che ha visto trionfare il presidente uscente Emmanuel Macron col 58,5% dei voti contro il 41,4% della sua sfidante Marine Le Pen, ha suscitato l’entusiasmo di gran parte della sinistra europea, dall’altra la monotona ripetizione della sfida tra i due candidati per la seconda elezione di fila ha tracciato ulteriormente un solco: quello tra i giovani francesi e l’attaccamento alla politica nazionale.
I forte astensionismo e le proteste
La narrativa di una relazione complicata tra i giovani e la politica è ormai in voga già da anni, ma inizia a suonare quasi come una vecchia storia. Ciò che risulta più importante è come queste difficoltà siano testimoniate da segnali ben precisi.
Il primo dato significativo è quello dell’astensionismo: Secondo un sondaggio Ipsos, al secondo turno questo tocca il 41% tra gli elettori nella fascia d’età 18-24 e del 38% negli elettori tra i 25 e i 34 anni. Una percentuale in crescita rispetto alle precedenti presidenziali del 2017, dove il 62,4% degli elettori under 25 aveva votato ad entrambi i turni, e il 21,3% a nessuno dei due. Ad alimentare il numero degli astenuti è senza dubbio l’assenza del candidato de La France Insoumise al ballottaggio: secondo le stime, il 43% del suo elettorato si è astenuto dalla scelta tra Macron e Le Pen alle urne. Tra i giovani che invece hanno votato anche al secondo turno, il 61% della fascia d’età 18-24 ha scelto il presidente uscente contro il 39% della sua sfidante, divario che si che assottiglia nella fascia 25-34 anni con Macron scelto dal 51% contro il 49% di Le Pen.
I segni di una forte ondata astensionista tra i giovani erano percepibili già da pochi giorni prima del ballottaggio, dove la delusione per la fine della corsa all’Eliseo di Melenchon aveva portato a proteste e manifestazioni, specialmente nella capitale. La caduta di ogni speranza ha coinciso col tramonto dell’idea di un presidente dall’agenda fortemente rinnovata, nell’ottica di maggior giustizia sociale, attenzione alla questione climatica e in un quadro di riforme di forte stampo progressista. Gli studenti parigini si sono riversati a pochi giorni dal secondo turno nelle strade intorno alle rinomate Università della Sorbona e Sciences Po, tra cori anti-razzisti e slogan contro uno status quo che annienta qualsiasi rinnovamento politico, scavalcati nuovamente dal peso del voto delle vecchie generazioni. Le stesse generazioni che, nel silenzio del moderatismo, rivendicano una continuità annichilente e per privilegiati.
Le aspettative dei più giovani
A deludere, per l’ennesima volta, è dunque il mancato rinnovamento dello scenario politico e delle risposte istituzionali ai problemi posti dalle nuove generazioni. Se più di un terzo degli elettori tra i 18 e i 35 anni ha votato per un candidato dal programma ecologista e contro le disuguaglianze, non c’è da stupirsi se l’assenza di segnali forti in questa direzione da parte dei candidati più favoriti ha suscitato ulteriore rabbia.
Secondo quanto riportato da Greenpeace, in cinque anni di mandato di Macron la Francia non ha rispettato i propri impegni sul clima, destinando ancora decine di miliardi ai combustibili fossili e rientrando tra i quindici Paesi europei che li sovvenziona maggiormente come fonti rispetto alle rinnovabili. Dall’altra parte, oltre ad una concreta minaccia di una politica ultra-conservatrice e xenofoba da parte di Le Pen, le contraddizioni in termini di proposte per la lotta al cambiamento climatico nel programma della candidata di destra hanno destato ulteriore preoccupazione.
Ciò che avrebbe spinto l’elettorato più giovane ad affezionarsi politicamente alla candidatura di Melenchon sarebbe dunque il carisma della sua iniziativa politica, a forte trazione sociale e specialmente ecologista, tanto da aver ricevuto il via libera di alcune organizzazioni ambientaliste, tra cui la stessa Greenpeace, che hanno definito il suo programma ecologico “il più serio tra quelli proposti”. Di fronte ad un a crescente sfiducia nei confronti della politica tradizionale e una tendenza conservatrice delle istituzioni, l’eco di una visione sociale fortemente progressista ha saputo avvicinare le nuove generazioni con una forza nuova, ben distante da quel sapore di “continuità”, accompagnata dalla sensazione diffusa di soddisfazione, che è apparsa dalla rielezione di Emmanuel Macron.
Con queste elezioni si alimenta così un divario drammatico tra le aspettative dei giovani e le risposte della politica, che trova spazio in una nazione che da sempre fa della rottura un elemento fondamentale dei propri cambiamenti politici. Quegli stessi cambiamenti disattesi ormai a destra e a sinistra, lasciando spazio ad una nuova terza via, sempre meno vicina ai concetti di moderatismo, compromesso, e mentalità del “meno peggio”.
Interessante sarà dunque osservare l’atteggiamento delle fasce più giovani anche alle prossime legislative, che si terranno questo giugno, e dove i principali sconfitti hanno promesso di dare nuovamente battaglia. Lo stesso dato sull’astensionismo sarà di nuovo indicativo degli umori, dato che alle scorse elezioni del 2017 un sondaggio INSEE rivelava come meno di un elettore su cinque under 30 avesse votato a tutti gli appuntamenti elettorali quell’anno, con gran parte delle assenze registrate proprio alle legislative.
Sul destino politico della Francia ancora manca una grossa pagina da scrivere, essendo le sorti del presidente rieletto fortemente legate all’esito della prossima tornata elettorale. D’altra parte, non si può ancora essere certi di cosa ne sarà di una politica che rimane inerme di fronte alle istanze giovanili. Ciononostante, tra le urne e le piazze e in un contesto di costante crisi globale, qualcosa continua a muoversi: tocca quindi alla politica capire in quale direzione andare per non schiantarsi definitivamente.
Editing e fact checking a cura di Alice Spada