Lavoro: la proposta della “settimana corta” arriva in Spagna
La notizia del successo dell’esperimento condotto in Islanda sembra confermare un dato importante: una settimana lavorativa più corta è possibile.
Il governo islandese dal 2015 al 2019 ha introdotto, su un campione di circa 2500 impiegati pubblici, una riduzione dell’orario di lavoro portando le giornate lavorative a 4, mantenendo lo stesso salario e notando in molti casi persino un aumento della produttività (oltre ad un incremento tangibile della qualità di vita degli impiegati). Gli ottimi risultati dello studio hanno incuriosito il mondo, convincendo alcuni Stati ad imitare l’Islanda, tra questi anche la Spagna.
Il 2021 sarà il primo anno di un progetto su base triennale che vedrà l’introduzione in Spagna della settimana lavorativa breve, basata su trentadue ore lavorative invece che quaranta, proposta da Iñigo Errejón, leader del partito di sinistra Más País (MP), da sempre legato al partito Unidas Podemos con a capo il vicepresidente del governo Pablo Iglesias.
Le imprese aderenti al progetto non sono numerose in questo primo momento, bensì un numero ridotto, che coinvolge tra i 2000 e i 5000 dipendenti, che disporrebbe di circa 50 milioni di euro, distribuiti nei tre anni di sperimentazione: il governo si impegna a coprire il 100% delle spese aziendali il primo anno, il 50% nel secondo e il 33% nel terzo, così da poter valutare gli effetti benefici della settimana corta sul bilancio aziendale. Per la proposta ci si è basati anche sull’esempio della Germania, la quale ha un monte orario lavorativo di trentotto ore, non quaranta, ed una produttività che supera di quattro punti e mezzo quella di Madrid.
I vantaggi della settimana corta
La proposta, secondo i promotori, porterebbe numerosi vantaggi alla qualità della vita degli spagnoli sotto molti punti di vista, riassumibili in tre punti principali:
- la prevista riduzione delle emissioni inquinanti darebbe un grande contributo alla lotta contro l’inquinamento delle città e contro il cambiamento climatico;
- la possibilità per i dipendenti di usufruire di più tempo libero avrebbe notevoli ripercussioni sul benessere personale e sul valore del capitale umano aziendale grazie alla possibilità di seguire più corsi di aggiornamento, soprattutto in ambito delle nuove tecnologie visto l’incremento nell’utilizzo di esse a causa della pandemia;
- si risponderebbe in maniera più efficiente alla domanda interna e, come sottolinea Errejòn, «il maggior benessere e la miglior organizzazione della vita permetterebbe un aumento della produttività oraria che è la vera zavorra del lavoro in Spagna.
A dire il vero in Spagna esiste già un’impresa che ha adottato la settimana breve, a Jaén, e sia i dipendenti sia l’azienda sono decisamente soddisfatti dell’andamento di questa iniziativa.
Tuttavia, persistono diverse opinioni contrastanti, soprattutto da parte dell’ala destra della politica di Madrid e della Confindustria spagnola (CEOE), i quali credono sia fuori luogo in un momento di crisi fare questo tipo di “esperimenti azzardati”.
Le sperimentazioni nel mondo
Sul fronte privato, invece, una delle primissime società al mondo ad aver sperimentato la settimana breve è stata la neozelandese Unilever, riducendo il monte orario ma non gli stipendi dei lavoratori. L’esperimento ha portato risultati inaspettati e decisamente positivi, il che lascia pensare che al termine dell’anno corrente l’azienda potrebbe decidere di consolidare il sistema della settimana di quattro giorni lavorativi e tentare di esportare il modello in altre industrie della Nuova Zelanda e della vicina Australia.
Già la Microsoft in Giappone aveva provato ad adottare questa tipologia di settimana lavorativa ed il risultato è stato un aumento della produttività del 40% con un corrispettivo calo dei consumi del 23%, mentre nel Regno Unito vi sono già oltre 850mila dipendenti che lavorano “solo” quattro giorni su sette.
«Il modo migliore per creare un mondo del lavoro più equo dopo il Covid è modificare il modo in cui lavoriamo. Scegliere una settimana lavorativa di quattro giorni porterebbe enormi benefici alla salute mentale dei lavoratori che è direttamente collegata alle prestazioni aziendali». Queste le parole di Will Stronge, manager del think tank Autonomy che si è posto totalmente a favore dell’iniziativa.
Modello da esportare nell’UE
Nell’UE il numero di ore lavorative dei dipendenti è direttamente proporzionale all’inefficienza di produttività generale: l’Italia è- insieme a Grecia ed Estoni- tra i Paesi, in media, che lavorano di più in Europa, con circa 33 ore settimanali, ma è anche nelle ultime posizioni per produttività. Caso inverso per la già citata Germania, con circa 26 ore lavorative di media ma il più alto tasso di produttività europeo. Questo scenario dovrebbe far riflettere e l’esempio di Islanda e Spagna sembra incuriosire i più: che sia il primo passo per l’Europa verso l’adozione di un nuovo sistema? Già dal 2022 si potrebbero avere dei riscontri.