L’assenza degli Stati Uniti dalla Palestina
Dopo 11 giorni di violenze nella Striscia di Gaza, il 21 maggio Israele e Hamas hanno finalmente raggiunto una tregua, grazie alla mediazione dell’Egitto e dell’ONU. Le richieste delle parti erano la cessazione del lancio di razzi di Hamas in cambio della sospensione dei bombardamenti israeliani a Gaza. Questi ultimi sono considerati anche dall’opinione pubblica internazionale come sproporzionati rispetto a una azione di sicurezza invocata da Netanyahu (il bilancio finale è di 243 tra cui 66 bambini oltre a quasi 2000 feriti).
Il grande assente
Quello che risalta immediatamente è l’assenza degli Stati Uniti da questo scenario, dovuta al fatto che Biden al momento ha altre priorità. Dalla Interim Strategic Security Guidance elaborata nei primissimi giorni di mandato del presidente USA, si evince infatti che gli interessi americani nel Medio Oriente riguardano solo una stabilizzazione della regione del Golfo, con una distensione dei rapporti tra Arabia Saudita e Iran. Inoltre, proprio con quest’ultimo, Washington ha iniziato dei dialoghi indiretti coadiuvati dalla mediazione UE per rientrare nell’accordo sul nucleare del 2015.
Inoltre, gli accordi di Abramo dello scorso autunno, che prevedono la normalizzazione dei rapporti tra Paesi arabi ed Israele, fortemente caldeggiati dall’amministrazione Trump, sembrano (per ora) un fallimento. Nonostante i benefici della fine dell’isolazionismo nella regione, Israele sembra intenzionata proseguire con la sua politica degli insediamenti. Forse è stata proprio la scarsa attenzione della nuova amministrazione americana verso la questione israelo-palestinese che ha legittimato il riaccendersi del conflitto.
Gli Stati Uniti, alleato storico di Israele, in questi giorni hanno espresso solidarietà al governo di Netanyahu, ribadendo la legittimità di agire per ragioni di sicurezza anche se, al tempo stesso, hanno invitato ad agire con moderazione. In seno al Consiglio di Sicurezza ONU, il veto per una nuova risoluzione sulla questione israelo-palestinese è stato imposto proprio dagli Stati Uniti, che si sono rifiutati di agire da intermediario poiché ciò avrebbe significato trattare con Hamas, che Washington non riconosce come autorità politica.
Dopo la tregua in Palestina
I problemi strutturali tra Israele e Palestina non sono ancora risolti. Permane l’occupazione illegale in Cisgiordania e Gerusalemme est, la situazione umanitaria a Gaza ha bisogno di una risoluzione tempestiva e vi è molta incertezza sui risvolti politici delle nuove elezioni palestinesi. Le ragioni dell’escalation, innescata solo come pretesto dal tentativo di sfratto di alcune famiglie palestinesi a Sheikh Jarrah, e le continue prepotenze da un lato e la reazione militare di Hamas dall’altro, hanno esacerbato la tensione sociale. Alimentata anche da decenni di propaganda, essa rafforza il sentimento di odio tra le due popolazioni che si esprime con scontri tra civili israeliani e palestinesi.
Le elezioni palestinesi, le prime dal 2006 e già più volte rimandate, potrebbero essere decisive per le sorti di questo contenzioso che si trascina ormai da più di 70 anni. Hamas, che è anche un’organizzazione politica oltre che paramilitare, potrebbe ottenere molti voti. E ciò costituisce motivo di preoccupazione per i Paesi occidentali, che di fatto hanno influenzato la decisione di rimandarle.
Ma la questione cruciale al momento è la ricostruzione di Gaza. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres è pronto a mobilitarsi per suportare la ricostruzione di scuole, ospedali, reti elettriche e abitazioni distrutte dai bombardamenti contro il popolo palestinese. Ciò che preoccupa sono anche i problemi psicologici di chi ha vissuto questi giorni, che sono soprattutto bambini o persone molto giovani.
Le Nazioni Unite stanno inviando aiuti umanitari e sono stati stanziati 18 milioni di dollari. Il presidente Biden ha deciso di interagire con l’autorità nazionale palestinese (ANP) riguardo la distribuzione di questi aiuti. Il presidente USA è fermo sostenitore della “two states solution”, caldeggiata anche dalla comunità internazionale. Tuttavia, la pace israelo-palestinese, formalmente sancita con i trattati di Oslo ma con un conflitto asimmetrico che continua ancora oggi, rappresenta una delle questioni più complesse e contorte per l’intero assetto globale. E date le ultime vicende, in Palestina, una pace tra i due popoli sembra ancora molto lontana.