La tutela delle minoranze in Italia
Nel corso della storia, la conformazione della popolazione straniera residente in Italia è cambiata, così come i motivi dietro i flussi che portano le persone nel nostro Paese. Nel 1600, ad esempio, la penisola italiana era tra le mete cardine del Grand Tour Europeo. Considerando invece i popoli nomadi di etnia rom, i primi gruppi che giunsero nel nostro Paese, lo fecero addirittura prima del 1500.
Il melting pot etnico del nostro Paese, ha quindi radici ataviche. Come scrive Luca Einaudi nel libro “Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi”, intorno al 1800 gli stranieri presenti in Italia erano in maggioranza austriaci -i più numerosi-, svizzeri, spagnoli e greci. Nel 1900 si aggiunse anche un irrisorio numero di africani (194), australiani ed asiatici. Tratto importante che identifica quei migranti, rispetto a quelli di oggi è la loro situazione economica: erano persone benestanti, tanto che, ad esempio, il settore agricolo, era quello in cui venivano impiegati meno.
Erano infatti gli stranieri che, in quegli anni, diedero notevole impulso economico all’Italia tramite numerosi investimenti effettuati in diversi ambiti. Nel corso del tempo, l’Italia ha attirato genti da tutto il mondo e per i motivi più disparati: economici, politici, artistici, culturali, educativi. A tre anni dalla fine della Grande Guerra, la popolazione straniera censita in Italia era di circa 110.000 unità su 39.396.757 di abitanti; l’Italia non era però formata solo da stranieri od autoctoni, c’era anche quel 2% di popolazione che apparteneva a quelle minoranze che avranno poi un riconoscimento giuridico solo nel 1999, anche a seguito delle conseguenze della Guerra fredda che fece del nostro Paese una tra le poche nazioni ad ergersi, praticamente, a contenitore del multiculturalismo nell’Europa centro- meridionale in quanto meta di arrivo di genti da nazioni confinanti e non.
Perché solo praticamente e non anche teoricamente? Perché, anche di fronte all’avvento della società multiculturale, ancora oggi si fatica ad accettarne la realtà.
Perché non passiamo parlare di “omogeneità linguistico- culturale” in Italia
Nel contesto europeo, l’Italia è protagonista di un discorso che la erge ad essere una delle nazioni in cui è presente una ricca ed eterogenea realtà idiomatica, ma che ancora manca di un pieno inserimento nell’influente discorso mediatico. È proprio su quest’ultimo punto che occorre fare una riflessione: ad oggi non dovremmo propriamente parlare di “cultura italiana” poiché, storicamente riflettendo, nell’Italia pre- unitaria, il cittadino straniero poteva anche semplicemente essere un cittadino di un altro Stato geograficamente situato nella nostra penisola, poiché i singoli Stati italiani erano eterogenei sotto molti punti di vista: culturale, linguistico, economico, culinario ecc.
Nonostante la consapevolezza circa la presenza di diverse comunità linguistiche nel nostro Paese, solo nel 1999 si è giunti ad una legge che le riconoscesse e che attuasse delle misure di tutela nei loro confronti. Prima del 1999 la Repubblica tutelava solo parzialmente le minoranze linguistiche poiché mancava di quell’universalità verso tutte le principali minoranze presenti sul nostro territorio. La legge 482 del 15 dicembre 1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, in armonia con la normativa nazionale (artt. 3, 6, 21 della nostra Costituzione) e sovranazionale sul tema, riconoscendo l’Italiano come lingua ufficiale, individua 12 minoranze linguistico- culturali che si prepone di “proteggere”. Si tratta di una legge che affonda le proprie radici nella lotta antifascista con l’intento di tagliare completamente i ponti con la legislazione del ventennio mussoliniano che ha cercato brutalmente di soffocare le minoranze, elevando la “razza italica” e la sua unica lingua riconosciuta e accettata: l’italiano. Punto cardine su cui si fonda la legge del 1999 è l’articolo 6 della Costituzione Italiana il quale recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche».
Come facciamo ad identificare una minoranza a livello internazionale?
- Criteri oggettivi di identificazione: hanno caratteristiche etniche, linguistiche, culturali e religiose differenti da altri gruppi o da quello maggioritario;
- Criteri soggettivi di identificazione: l’autoidentificazione dei singoli individui in un gruppo con l’intento di conservare questa diversità;
- Posizione non- dominante all’interno della società e le sue implicazioni politiche, sociali ed economiche.
Le minoranze in Italia
Quando si porta avanti il discorso sulle minoranze straniere emerge sempre la questione circa le minori tutele e diritti che in molti casi sfociano in vere e proprie discriminazioni o addirittura persecuzioni, ed oggi, purtroppo, possiamo fare innumerevoli esempi a livello mondiale.
L’Italia, è da sempre crocevia tra Oriente e Occidente, pertanto nel corso dei secoli è sempre stata protagonista di diversi processi di emigrazione e immigrazione che hanno portato anche alla stanzialità di diverse popolazioni nomadi nei riguardi delle quali mancano ancora effettive protezioni. Facendo riferimento all’art.6 della Costituzione, per cui la Repubblica tutela le minoranze linguistiche, è possibile notare anche una tappa importante del processo di democratizzazione del nostro Paese: si passa da un mancato riconoscimento delle minoranze durante il ventennio fascista, alla volontà di dirigersi verso un sistema statale che tuteli, tolleri e metta in sicurezza anche il pluralismo etnico- linguistico. Tutto ciò si è poi espletato nella legge 482/99 la quale ha individuato ben 12 comunità linguistiche presenti nel nostro Paese:
- Albanese (Abruzzo, Basilicata, Campania, Campania, Molise, Puglia, Sicilia)
- Catalana (Sardegna)
- Croata (Molise)
- Francese (Piemonte, Valle d’Aosta)
- Franco- provenzale (Piemonte, Puglia e Val d’Aosta)
- Friulana (Friuli Venezia Giulia, Veneto)
- Germanica (Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto)
- Greca (Calabria, Puglia, Sicilia)
- Ladina (Trentino Alto Adige, Veneto)
- Occitana (Calabria, Liguria, Piemonte)
- Sarda (Sardegna)
- Slovena (Friuli Venezia Giulia)
Come si evince dalle regioni in cui si trovano queste comunità, coloro che appartengono alle minoranze vivono soprattutto nelle zone di confine, dove ci sono altre comunità storiche e in regioni specifiche.
Cosa importante circa la tutela esercitata dalla legge 482/99 è inoltre la facoltà data alle singole regioni di poter incrementare il supporto nei confronti delle varie minoranze linguistico/culturali presenti nel proprio territorio.
Infine va detto però che, nonostante l’indubbio valore di questa legge, ad oggi risulta considerata da molti ormai quasi superata a causa dei rapidi cambiamenti di natura etnico/ culturale avvenuti negli ultimi due decenni. A circa 22 anni dal quel provvedimento, oggi assistiamo ancora a tendenze inneggianti al nazionalismo, fuori e dentro le aule della politica, il che dimostra la necessità di un ritorno del Legislatore sulla questione per rafforzare, ammodernare ed ampliare le tutele poste nel 1999.
Consigli di lettura L. Einaudi, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità a oggi, Editori Leterza, Roma 2007. M. Colucci, Storia dell’immigrazione straniera in Italia. Dal 1945 ai giorni nostri, Carocci editore, Roma, 2018. M. Impagliazzo, Integrazione. Il modello Italia, Guerini e Associati, 2013.