La politica italiana riconoscerà il governo dei talebani?
La realtà politica italiana è da sempre caratterizzata da un contesto frammentato, al cui interno sono presenti svariate linee ideologiche e di pensiero, elemento necessario per una democrazia. I dibattiti sono al centro dell’evoluzione della politica, senza i quali questa diventerebbe una grigia funzione di mera amministrazione e nulla più. Ben vengano quindi le diverse vedute e i dibattiti: superfluo però dire che ci si riferisce solo ai dibattiti costruttivi. Il problema è che negli ultimi tempi essi sono pochi e quasi sempre incentrati su temi che non suscitano a pieno l’interesse del grande pubblico.
Uno dei dibattiti che da giorni sta polarizzando la politica italiana, riguarda la situazione in Afghanistan e la possibilità di riconoscimento del nuovo governo istituito dai talebani dopo aver riconquistato il Paese a seguito della ritirata dell’alleanza NATO. Come per ogni tema di particolare risonanza, anche quest’ultimo ha riempito le agende dei maggiori leader politici italiani: il presidente del M5S Giuseppe Conte, il senatore e segretario della Lega Matteo Salvini, la deputata e presidente di FdI Giorgia Meloni e il segretario del PD Enrico Letta, hanno rilasciato dichiarazioni divergenti tra loro nell’esprimere la propria posizione sulla vicenda. Anche il ministro degli Esteri Luigi di Maio e il presidente del Consiglio Mario Draghi, in ragione del loro ruolo istituzionale, hanno preso parte al dibattito.
Le varie prese di posizione sul riconoscimento
Il dibattito, va detto sin da subito, non ha avuto un carattere costruttivo; cosa triste se si considera che si sta trattando di una vicenda di proporzioni mondiali e che sta provocando sofferenze a milioni di uomini e, soprattutto, donne che vivono in Afghanistan. La vicenda è stata in parte strumentalizzata e usata come arena di scontro e di propaganda politica. Ciò si può evincere dal tipo di dichiarazioni rilasciate da molti dei protagonisti in causa: denunce e condanne (lecite ed obbligate) verso le azioni dei talebani, senza però presentare soluzioni ma solo un sistematico rifiuto per una prospettiva di accoglienza per chi sta scappando. Hanno fatto discutere, in tal senso, le dichiarazioni di Salvini, il quale si è detto favorevole ad accogliere donne e bambini, ma non gli uomini (ponendoli alla stregua di potenziali terroristi).
Anche l’alleata- non si sa ancora per quanto- di centrodestra, Giorgia Meloni, ha esibito parole di condanna verso i talebani, escludendo qualsiasi riconoscimento ufficiale e qualsiasi iniziativa al dialogo. A queste considerazioni personali sono quasi sempre seguiti attacchi alla componente del centrosinistra, colpevole, secondo Meloni, di restare immobile e in silenzio verso le violenze perpetrate nei confronti della popolazione afghana nelle strade e nei punti di ritirata.
Ad auspicare un’apertura verso il nuovo governo dei talebani (ufficiale da qualche giorno e con nessuna donna al proprio interno) è stato invece Giuseppe Conte, il quale ha dichiarato la necessità di aprire dialoghi con la nuova istituzione per favorire il ritiro di chi vuole lasciare il Paese ed impedire violenze verso la comunità. Molti analisti hanno bollato la necessità del dialogo come un fatto scontato e hanno dato poco peso alle sue dichiarazioni. Tuttavia, a giudicare dalle reazioni di Meloni e Salvini, così scontate le dichiarazioni di Conte non sono state.
Di fronte al disastro umanitario che è in corso in #Afghanistan, dove sono in pericolo i più elementari diritti fondamentali, è vergognoso che in Italia ci sia chi gioca a strumentalizzare fatti e dichiarazioni per biechi fini di polemica politica. pic.twitter.com/nFZ9WM59j3
— Giuseppe Conte (@GiuseppeConteIT) August 19, 2021
Critiche e attacchi sono seguiti alle parole di Conte, accusato di voler “dialogare coi terroristi” e di essere incapace di prendere una posizione di forza. Ritorniamo, così, nel campo della comunicazione finalizzata alla mera propaganda di partito. Anche l’alleato di centrosinistra, Enrico Letta, resta dubbioso su un possibile dialogo coi talebani, auspicando, invece, la formazione di corridoi umanitari per i futuri flussi migratori in arrivo. Si profila una divergenza di vedute tra i leader?
Dalle istituzioni, e più in particolare da Di Maio, sono arrivate dichiarazioni che non lasciano spazio ad interpretazioni: il ministro ha infatti escluso qualsiasi riconoscimento ufficiale nei confronti del governo talebano. Una decisione presa a seguito di valutazioni e analisi svolte sulla base delle azioni del gruppo integralista islamico, considerate inaccettabili e da condannare.
Il premier Draghi mantiene invece una posizione europeista, auspicando che l’UE sia in grado di gestire a pieno l’emergenza, affermando che la cooperazione tra gli Stati membri sia una variabile necessaria per affrontare al meglio due punti fondamentali: la sicurezza e l’accoglienza per chi sta lasciando l’Afghanistan. Una presa di posizione che mette l’Europa al centro di una difficile missione: abbandonare qualsiasi retorica nazionalista e affrontare l’emergenza in modo unito e solidale.
Dopo settimane dall’inizio del “ritorno” dei talebani, la posizione dei leader politici italiani appare chiara e in linea con la loro dimensione ideologica; resta da capire se le divergenze che li separano potranno influenzare il sostegno di cui avranno bisogno i molti rifugiati in arrivo. Vedremo se l’Italia e l’Europa saranno in grado di rispettare i valori su cui poggiano.