La “non-democrazia” ungherese che pesa su giovani e donne
Rieletto con le elezioni nazionali tenutesi ad aprile, il Premier ungherese Viktor Orbán non ha mai smesso di far discutere. A fare le spese della tendenza sempre più autoritaria della sua amministrazione, sono i più giovani e le donne, le ultime recentemente attaccate in due episodi che ci devono ricordare quanto l’ondata di populismo di estrema destra che sta crescendo in Europa sia pericolosa. Freedom House, ONG che si occupa di sensibilizzare su democrazia, libertà politiche e diritti umani, ha da tempo gli occhi puntati su ciò che accade in Ungheria, ormai inserita nella categoria delle nazioni “parzialmente libere”.
Il 15 settembre il Parlamento Europeo ha compiuto un passaggio cruciale per contrastare l’Ungheria di Orbán, da più di quattro anni accusata di non rispettare lo stato di diritto. A seguito della presentazione della risoluzione dell’eurodeputata francese Gwendaline Delbos-Corfield (Verdi), Bruxelles ha decretato che l’Ungheria non è più definibile una democrazia, ma è invece un “regime ibrido di autocrazia elettorale”. La risoluzione è passata ad ampia maggioranza, con 433 voti a favore, 123 contrari e 28 astenuti. Tra i voti contrari troviamo quelli di Fratelli d’Italia e Lega, che non hanno mai nascosto la vicinanza con il leader ungherese. Con questa risoluzione, gli eurodeputati chiedono che l’Ungheria venga esclusa dai programmi di coesione, che forniscono fondi agli stati membri, per il cattivo uso che l’amministrazione di Orbán ne ha fatto nei dodici anni al governo.
Un’educazione “troppo femminile”?
Lo scorso luglio, l’ente statale ungherese che si occupa di monitorare la spesa pubblica ha rilasciato un discutibile rapporto in cui critica il sistema educativo attualmente vigente nel paese, accusato di proporre una “pink education”. L’ente, molto vicino a Fidesz, il partito di Viktor Orbán, ha dichiarato che essendo più dell’80% degli insegnanti ungheresi donna, verrebbe favorita una sovrarappresentazione femminile nelle università (il 54,4% degli iscritti sono donne), mettendo a rischio la parità di genere a scapito degli uomini. L’educazione rosa impartirebbe “tratti femminili” come la “maturità emotiva e sociale, il duro lavoro e l’obbedienza”, causando di conseguenza “problemi mentali e comportamentali” negli individui di sesso maschile, non in grado di svilupparsi liberamente. Ciò andrebbe a gravare sull’economia del paese, sostiene il report, che non si svilupperebbe in maniera ottimale se negli uomini venissero a mancare i “tipici tratti maschili” come la predisposizione alle attività imprenditoriali e ad assumere rischi. In aggiunta a queste accuse, viene citato tra i risultati della sovrarappresentazione femminile nell’educazione ungherese anche il calo delle nascite ormai in corso da anni, giustificando questo collegamento con il fatto che donne troppo istruite farebbero fatica a trovare partner con lo stesso livello di istruzione, alimentando la crisi demografica.
Nonostante il bizzarro comunicato dell’ente statale ungherese parli di un peggioramento della parità di genere a causa della presunta sovrarappresentazione femminile, l’European Gender Equality Index rileva tutt’altro. Valutando la parità di genere nei paesi europei su una scala da 0 a 100 punti, l’Ungheria nel 2021 si è collocata al penultimo posto in Europa con 53,4 punti, seguita soltanto dalla Grecia.
Il “diritto di non abortire” è realtà in Ungheria
Sin dal primo incarico di governo, Viktor Orbán ha portato avanti politiche conservatrici volte alla restaurazione dei valori della “famiglia tradizionale”, sancendo nel 2011 nella Costituzione ungherese che “la vita del feto inizia dal concepimento”. Ma, fino ad oggi, la legge sul diritto all’aborto non era mai stata toccata, in quanto l’interruzione volontaria di gravidanza è largamente accettata in Ungheria e il Governo non può quindi renderla illegale. La pratica è legale in Ungheria dal 1953, l’ultimo aggiornamento della legge risale al 1992 e ammette l’interruzione della gravidanza nelle prime 12 settimane (24 in particolari circostanze), ma l’iter non è semplice: le donne che desiderano richiederla devono ottenere una lettera di conferma della gravidanza da parte di un ginecologo e fare due colloqui (a distanza di tre giorni l’uno dall’altro) con i servizi sociali per vagliare l’opzione dell’adozione e per essere informata sui sussidi statali per neomamme. Questo iter è stato valido per trent’anni, fino al 16 settembre di quest’anno.
Con la nuova legge approvata ed entrata in vigore a metà settembre, ideata anche per far fronte alla forte crisi demografica, all’iter sopracitato è stato aggiunto un passaggio: le donne, prima di avere il via libera, dovranno ascoltare i “segni vitali” del feto. Questo passaggio è volto a “informare in maniera più chiara” le donne che richiedono l’IVG e dovrà essere ufficialmente documentato e firmato da un medico, e solo così si avrà accesso all’interruzione di gravidanza. Dóra Dúró, parlamentare di estrema destra per Mi Hazánk Mozgalom (Movimento Nostra Patria) e promotrice di questa misura, ha celebrato questa vittoria come “la prima mossa pro-vita dalla regolamentazione dell’aborto”.
Timea Szabó, parlamentare per Párbeszéd Magyarországért (Dialogo per l’Ungheria), ha chiarito che per l’opposizione la riforma alla legge sull’aborto è inaccettabile, in quanto va ad aggravare una pratica di per sé già traumatica, rendendola ancora più complicata per le donne che la desiderano affrontare. L’IPFF (International Planned Parenthood Federation) ha dichiarato che questa misura “non ha alcuno scopo medico ed è concepita soltanto per umiliare le donne”, e che è stata adottata senza aver interpellato esperti in materia e senza aver consultato le donne ungheresi. Anche l’Ordine dei Medici ungheresi si è espresso criticamente riguardo la nuova misura che, pur non confliggendo con il codice etico, è stata varata senza alcuna consultazione degli esperti.
L’impasse europeo sulle sanzioni
L’ombra di “sdemocratizzazione” che incombe sull’Ungheria a causa delle misure approvate nell’ultimo decennio dall’estrema destra al governo è ormai cosa nota agli uffici di Bruxelles. Con l’approvazione della risoluzione dell’eurodeputata Gwendaline Delbos-Corfield si è provato a sbloccare l’impasse in cui si trova il processo decisionale europeo sulle sanzioni. Domenica 18 settembre la Commissione Europea ha proposto l’attivazione di un meccanismo volto a contrastare il democratic backsliding nei Paesi membri, che bloccherebbe i fondi all’Ungheria per 7.5 miliardi di euro.
La crescita di molti partiti populisti di destra in Europa –Fidesz, Fratelli d’Italia, Diritto e Giustizia e i Democratici Svedesi, solo per citarne alcuni– dovrebbe far aprire un dibattito in UE sulle inefficienze che hanno permesso violazioni dello stato di diritto in molti Paesi membri (Polonia e Ungheria primi fra tutti). Le leggi che contrastano la libertà di espressione, la libertà di stampa e la libertà di scelta sul proprio corpo gravano sull’intera popolazione di un paese, ed è compito dei vertici di Bruxelles far sì che gli Stati Membri garantiscano tutele e protezione ai cittadini.
Editing a cura di Claudio Annibali