La linea politica di Draghi per il dossier immigrazione
Per oltre tre anni il fenomeno delle migrazioni è risultato assente tra i temi all’ordine del giorno presso il Consiglio Europeo, l’organo collettivo presieduto dai capi di Stato o di governo dei vari Stati membri dell’Unione europea. I motivi di un’assenza così prolungata possono essere solo in parte spiegati dall’emergenza pandemica che da quasi due anni è al centro delle preoccupazioni dei leader del Vecchio continente.
La situazione ha ricevuto una svolta improvvisa durante le ultime riunioni del 24 e 25 giugno scorsi: fautore della rinnovata centralità della questione è stata propria l’Italia con il Presidente del Consiglio Mario Draghi che, a seguito della sua informativa alle Camere prima del Consiglio UE, ha espresso preoccupazione e volontà di intervenire in modo efficace verso il fenomeno migratorio e, in particolare, le politiche di redistribuzione.
Analizzando più nel dettaglio i contenuti del suo discorso, ci si rende conto di quanto poco spazio Draghi abbia lasciato all’interpretazione e alla classica demagogia propagandistica; nel suo passaggio ha infatti ribadito come la gestione del fenomeno migratorio, circoscritto ai confini del nostro Paese, non può più essere lasciata alla sola responsabilità italiana, ma deve includere l’Unione europea nel suo complesso: fronteggiare l’immigrazione illegale e supervisionare in modo efficiente quella legale sono i punti chiave da cui far partire il nuovo corso politico di solidarietà internazionale verso la crisi migratoria.
Il discorso di Draghi mette in evidenza diversi punti che compongono la politica dell’esecutivo sul tema: si può riscontrare innanzitutto una critica implicita verso l’Unione europea per l’insufficiente e, a tratti superficiale, supporto all’Italia, che sottolinea la necessità di cambiare il sistema di accoglienza e di gestione dei flussi migratori che, soprattutto dalle coste libiche, vedono migliaia di persone intraprendere viaggi pericolosissimi verso l’Italia con risvolti troppo spesso tragici.
In altre parole, è necessario superare i dettami del Regolamento di Dublino III, sottoscritto dagli Stati membri dell’UE nel 2013. Tale regolamento, infatti, impone allo Stato di prima accoglienza di assumersi la piena responsabilità verso il rifugiato o richiedente asilo: cure, rifornimenti e un luogo dove sostare.
Il regolamento viene oggi ritenuto superato, inadeguato e apertamente criticato in modo trasversale da organizzazioni che sostengono i diritti umani, ONG, opinione pubblica e Stati membri. La sua elaborazione risale ad un periodo in cui la dimensione dei flussi era di gran lunga più ridotta rispetto a quella attuale e per i Paesi di accoglienza era relativamente semplice e alla loro portata gestire la densità di persone che si affacciavano ai propri confini.
Oggi la situazione è cambiata e costantemente peggiorata col passare degli anni, tuttavia il grosso dell’onere continua a gravare sugli “Stati-confine” dell’Unione, complice anche un meccanismo di redistribuzione inefficiente.
Politica condivisa sui flussi
L’ex capo della Banca Centrale Europea ha inoltre trovato una preziosa alleata, nel suo tentativo di cambiamento: la Cancelliera tedesca Angela Merkel. I due capi di governo hanno avuto modo di confrontarsi ed esporre le proprie strategie durante un incontro bilaterale tenutosi a Berlino pochi giorni dopo il Consiglio Europeo. Tra i punti toccati nel colloquio, infatti, ha trovato spazio anche la questione migratoria per la quale Draghi ha cercato una “sponda” nella Cancelliera uscente soprattutto per quanto riguarda il rafforzamento dell’impegno economico e diplomatico europeo in Nord Africa e in particolare in Tunisia e Libia. Sebbene accolta in maniera positiva, difficilmente però la Germania si schiererà con forza accanto all’Italia e alla sua proposta di modifica dell’approccio alla gestione dei flussi in sede europea, vista l’imminente tornata elettorale prevista per settembre che cambierà i vertici di governo tedeschi.
Flussi migratori e Consiglio Europeo
Molti analisti sono concordi col dire che Draghi sia riuscito ad ottenere il massimo possibile: il tema delle migrazioni mediterranee è tornato se non proprio al centro del dibattito, almeno sul tavolo di discussione e già di per sé questo può essere definito un discreto successo. Tuttavia, non si sono registrati passi in avanti in merito la strategia di ricollocamento dei richiedenti asilo: l’Italia, come gli altri Paesi di prima accoglienza, resta da sola a gestire i flussi mediterranei.
Una parte importante del dibattito principale è stata incentrata, invece, sulla situazione relativa alla Turchia: dal 2015, infatti, a fronte di enormi pagamenti da parte dell’UE, il Paese si occupa della gestione di milioni di migranti provenienti dal “fronte orientale” che, dopo l’inizio della guerra in Siria è diventato uno dei confini più caldi e tesi del mondo. Una gestione che negli ultimi tempi ha attirato a sé moltissime accuse e critiche riguardanti il trattamento disumano a cui i migranti sarebbero sottoposti nei campi turchi.
Merkel (con il sostegno del resto dei capi di Governo) ha tuttavia ribadito l’importanza che riveste la Turchia in tale ambito e spinge per rinnovare l’accordo (si parla di diversi miliardi di euro). Draghi avrebbe deciso anche su questo fronte di allinearsi con la Germania e di esportare il “modello Turchia” anche nel Mediterraneo, finanziando gli Stati africani affinché gestiscano le partenze dai loro territori.
Per concludere, costata la difficoltà di cambiare in tempi brevi il sistema imposto dal regolamento di Dublino, il Premier Draghi sembra voler adottare una linea che suona paurosamente simile a quell’ “aiutiamoli a casa loro” di salviniana memoria. Nel frattempo, però, ci si affida a quel “dittatore di cui si ha bisogno”.