La Corte di giustizia UE mette al bando il velo al lavoro
Il Vecchio Continente ha un rapporto alquanto complesso con la religione, specialmente quella islamica, considerata storicamente “incompatibile” con quello che, nei fatti, si è autoproclamato il centro del mondo nonché culla della civiltà: l’Europa. L’islamofobia fa, purtroppo, intrinsecamente parte della storia del continente europeo e, anche a causa degli attentati che hanno investito l’Occidente quasi vent’anni fa, la situazione non ha fatto altro che peggiorare più o meno ovunque.
No al velo sul posto di lavoro
L’episodio scatenante ha avuto luogo in Germania e ha visto coinvolte due donne musulmane: la prima, impiegata presso la Wabe eV in qualità di educatrice, mentre la seconda come consulente di vendita e cassiera per conto di Mh Muller Handels GmbH. Entrambi i datori di lavoro hanno convenuto che l’uso del velo non corrispondeva all’orientamento di neutralità filosofica, religiosa e politica dell’azienda, pertanto è stato richiesto ad entrambe le lavoratrici di non farne più uso.
Le donne, che si sono opposte a tale decisione, sono state inizialmente trasferite per poi ricevere diverse sospensioni e ammonizioni. A nulla è servito rivolgersi ai Tribunali nazionali per far valere i propri diritti, tanto che i due casi sono giunti fino alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
La Corte è stata chiamata a decidere, in particolare, sulla possibile natura discriminatoria di tali norme attuate dai datori di lavoro e dunque, come debba essere regolato il rapporto tra le due parti in tal senso.
La sentenza
Stando alle parole della Corte occorre fare una distinzione considerata cruciale: benché indossare segni o indumenti per manifestare il proprio credo religioso rientri nella sfera della libertà di pensiero e autodeterminazione, vi possono essere contesti lavorativi in cui può venire legittimamente richiesta una totale neutralità sul piano religioso, politico e filosofico, a patto però che tali decisioni vengano applicate indistintamente a tutti i dipendenti.
Per quanto il dispositivo della Corte appaia nobile e orientato verso una laicizzazione su più fronti della vita pubblica nell’Unione europea, esso potrebbe attirare comunque critiche su più fronti. Tra queste, vi è senz’altro il rischio che molti datori di lavoro si conformino a tali disposizioni con lo specifico obiettivo di attaccare una minoranza sempre più fragile e fortemente sottorappresentata, sebbene vada sottolineato che anche il crocifisso venga di fatto considerato alla stregua del velo.
D’altro canto, anche fuori dai confini dell’UE ci sono state alcune voci contrarie a tale decisione, una fra tutte quella di Erdogan. Il presidente turco, infatti, ha definito l’UE islamofoba e si è espresso duramente riguardo l’intera questione:
«La Corte di giustizia dovrebbe cambiare il proprio nome. Il problema discusso non ha neanche lontanamente niente a che vedere con una Corte di giustizia. Non può esistere una corte di Giustizia che non sa cosa sia la libertà di professare liberamente il proprio credo».
L’episodio è stato, poi, fortemente criticato soprattutto dalla comunità islamica, costantemente sotto attacco da parte di istituzioni fortemente eurocentriche e che, di fronte a un incontro interculturale e intereligioso preferiscono nascondere tutto sotto la sabbia. Sono già diversi i Paesi europei che, in passato, hanno tentato di reprimere la libertà religiosa con lo specifico intento di eliminare riferimenti all’Islam, tra cui il velo. Impedire alle donne di poter prendere una scelta libera e consapevole equivale ad un tentativo di reprimere la loro voce e di controllare il loro corpo e ciò è inaccettabile per un continente che da sempre si pone in una condizione di presunta superiorità rispetto al resto del mondo.