Italia- Libia, un partenariato letale per i più deboli
Lo scorso 6 Aprile, il premier Mario Draghi si è recato a Tripoli per un incontrare il primo ministro libico Abdelhamid Dabaiba allo scopo di: «[…] ricostruire quella che è stata un’antica amicizia e una vicinanza che non ha mai conosciuto pause […]». A questo scopo, continua Draghi: «[…] si vuole fare di questa partnership una guida per il futuro nella piena sovranità della Libia. Anche in campo migratorio. Esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi. Nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia. Il problema non è solo geopolitico, è anche umanitario. Da questo punto di vista l’Italia forse è l’unico Paese che continua a tenere attivi i corridoi umanitari […]». Sul fronte migranti, l’Italia continua quindi a ribadire quell’aiuto e sostegno al Paese già sottoscritto tra Berlusconi e Gheddafi nel 2008 e ribadito anche nel Memorandum d’Intesa del 2017 tra l’ex primo ministro italiano Gentiloni e Al Serraj, Capo del Governo di Riconciliazione nazionale dello Stato della Libia. Quel memorandum venne poi rinnovato lo scorso anno allo scopo di bloccare i flussi di migranti provenienti dalla Libia ed esternalizzare le frontiere.
Il MoU e le relazioni tra Italia e Libia
Da subito, attivisti e giuristi sia italiani che libici, hanno confermato l’antigiuridicità di quell’accordo. Con il Memorandum of Understanding (MoU), l’Italia si impegna a sostenere la Guardia Costiera libica “fornendo supporto tecnologico e militare”, attrezzare e addestrare il personale dei “centri di accoglienza” e finanziare dei fantomatici programmi di sviluppo nelle regioni più colpite dall’immigrazione illegale, mentre la Libia, da parte sua, cerca di chiudere gli ingressi nel territorio per chi proviene dall’Africa Sub-sahariana, intercetta e blocca i famosi barconi sovraffollati che vogliono raggiungere l’Europa. La mancata adesione da parte di Tripoli alla Convenzione dei Rifugiati, porta ad identificare tutti gli immigrati irregolari come dei presunti criminali che vengono automaticamente portati nei centri di detenzione, escludendo così anche la possibilità di poter fare richiesta di protezione internazionale. Chi giunge in Libia con l’intento di voler partire verso l’Europa si trova davanti la duplice scelta tra l’affidarsi ai trafficanti di esseri umani o finire nei centri di detenzione. In questi quattro anni, l’Italia ha speso quasi 800 milioni di euro a supporto di un accordo che ha portato al respingimento in Libia di oltre 50 mila persone e causato innumerevoli naufragi. È sotto gli occhi dell’opinione internazionale ciò che accade nei lager libici e numerose sono state le denunce fatte da ONG e organizzazioni internazionali, ma perché, alla luce di tutto questo, quest’accordo è stato tacitamente rinnovato? Nei mesi scorsi ASGI, Emergency, Medici senza Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea Watch, hanno lanciato un appello al Parlamento Italiano per una revoca immediata del MoU. Le sei organizzazioni umanitarie hanno affermato come tutti i governi che dal 2017 si sono succeduti, abbiano ostruito l’attività di navi umanitarie, senza fornire alternative alla loro presenza.
L’ennesima tragedia in mare
Tra martedì 20 aprile e mercoledì 21, un peschereccio, partito dalla costa di Khums, è affondato con 130 persone a bordo. L’allarme è stato lanciato tramite la piattaforma Alarm Phone, segnalando anche la posizione gps alla guardia costiera italiana, maltese, e libica, ma è stato ripetutamente ignorato. Secondo la ricostruzione di Alarm phone, la guardia costiera italiana e quella maltese hanno chiesto a quella libica di prestare soccorso ma questa si è mostrata irreperibile e poi, la sera di mercoledì, ha rifiutato di soccorrere a causa delle avverse condizioni del mare. Giovedì, quando la Ocean Viking ha raggiunto il gommone, ne ha trovato solo il relitto semiaffondato e 13 corpi senza vita. Oltre a questo gommone, ne erano stati intercettati anche altri due: uno è stato individuato, riportato in Libia dalla guardia costiera e le persone a bordo trasferite nei centri di detenzione, mentre dell’altro non si hanno notizie di alcun tipo.
Alla luce di un’ennesima tragedia nel “Mare Nostrum” per la quale le varie autorità hanno fatto scaricabarile tra di loro, rimane ancora in dubbio il motivo per cui il premier Draghi si sia congratulato con la Libia. Ormai la logica sembra essere la seguente: meno arrivi in Europa, più trattamenti inumani e degradanti nei sending countries e morti in mare. Sulla base di questo accordo che vuole diminuire le partenze dalle coste libiche per ridurre gli arrivi in Europa, le morti nel mediterraneo non si arrestano e il coordinamento tra autorità libiche, italiane ed europee vacilla. È un dovere morale e responsabilità delle autorità competenti trovare una strategia concreta per mettere uno stop alle stragi in mare.