In Texas la legge sull’aborto spazza via decenni di lotta per i diritti delle donne
Tra i fatti di cronaca che ultimamente hanno innescato una fervente discussione all’interno dell’opinione pubblica e aizzato numerose proteste c’è l’ormai tristemente nota legge sull’aborto ridisegnata in Texas, Stati Uniti. Quello contro cui combattono da settimane le donne texane è infatti un nuovo provvedimento che regola, disincentiva ed ostacola il diritto all’aborto: è la “Senate Bill 8”, che ha ricevuto l’avallo della Corte Suprema, e stabilisce il divieto di abortire a partire dal momento in cui viene registrato il battito cardiaco fetale (che generalmente accade dopo sei settimane), anche in caso di stupro o incesto.
Il Texas, che tendenzialmente è considerato uno degli Stati più conservatori degli Stati Uniti, è governato dal repubblicano Greg Abbott che proprio lo scorso maggio ha firmato un provvedimento con il quale si proibisce su tutto il territorio di ricorrere a tale pratica dopo il tempo prestabilito; una finestra di tempo- quella di sei settimane -in cui per alcune donne è difficile persino sapere con certezza di essere incinta. Ad aggravare la situazione, inoltre, vi è l’inserimento, all’interno del provvedimento, di un “incentivo” di 10.000 dollari previsto per tutti coloro che decidessero di denunciare chi pratica l’aborto o chi, in qualsiasi modo, aiuta o supporta una donna che decide di sottoporvisi. Siamo in presenza quindi di una legge talmente restrittiva che anche un presidente cattolico praticante come Joe Biden, l’ha definita “anti costituzionale, estrema e anti americana”; i dubbi sulla sua costituzionalità, in effetti, sono stati anzitempo sollevati da più fronti.
Sebbene una decina di Stati americani abbiano precedentemente approvato leggi simili, a differenza di quella texana, queste sono state tutte preventivamente bloccate dalla Corte Suprema. La legge in questione invece ha la peculiarità strutturale di imbrigliare le capacità di azione degli organi di governo, concedendo poteri ed autorità ai privati cittadini attraverso cause civili e non penali e giocando quindi sul principio della “legittimazione ad agire” secondo cui un cittadino può citarne in giudizio un altro se ritiene di essere stato in qualche modo danneggiato dalla sua condotta.
Nei giorni scorsi sia la Casa Bianca che il ministro della giustizia Merrick Garland, hanno denunciato l’incostituzionalità della SB8, nonché la violazione delle leggi federali, chiedendo alla Corte Federale del Texas di vietarne l’applicazione dichiarandone l’invalidità. A supporto della causa è intervenuta anche la vicepresidente Harris sostenendo la trasformazione in legge della storica sentenza Roe vs. Wade.
L’aborto nella storia americana
Ma persino la sentenza Roe vs Wade, oggi considerata il baluardo della legislazione statunitense sull’aborto, ha dovuto vincere una forte resistenza che ha radici molto più profonde nel tempo: sebbene infatti la pratica fosse presente fino dagli anni Venti e Trenta dell’Ottocento- con alcune restrizioni riguardanti l’età del feto- in un lasso di tempo di 50 anni le preoccupazione nei confronti dei medicinali utilizzati e della loro pericolosità ha fatto sì che, in seguito ad una crociata portata avanti soprattutto dai medici, l’aborto fosse considerato un vero e proprio crimine punito con il carcere.
Tale divieto però non fece altro che incrementare il tasso di mortalità legato al parto e alla pratica di aborti clandestini. Fu soltanto a partire dagli anni ‘60 del Novencento che, grazie alla prima ondata femminista, le donne non solo riuscirono ad ottenere importanti cambiamenti nella visione del ruolo femminile all’interno della società americana, ma, convinte che lo Stato dovesse rimanere fuori da ogni tipo di controllo sul corpo della donna, ottennero anche una prima e storica sentenza da parte della Corte Suprema: Griswold v. Connecticut del 1963, con la quale si legalizzò l’utilizzo della pillola anticoncezionale per le donne sposate, seguita da Eisenstadt v. Baird del 1972, che estese questo diritto anche alle nubili.
A cavallo tra gli anni ‘60 e gli inizi degli anni ‘70 è stato grazie alla popolarità di personalità come Gloria Steinman che il movimento femminista attraversò una seconda ondata, la quale mise sotto la luce dei riflettori, tra le tante tematiche, proprio il diritto all’aborto. Nel 1973 Roe v. Wade stabilì che nessuno Stato americano avrebbe mai potuto proibire l’aborto entro il primo trimestre dal concepimento, soltanto in alcuni casi entro il secondo, ma mai laddove fosse esistito un pericolo per la vita del feto o per quella della gestante.
Un altro passo in avanti da parte della Corte Suprema venne compiuto nel 1992 con la sentenza Planned Parenthood v. Casey, grazie alla quale venne introdotto il principio del primo trimestre basato sulla viability – secondo cui l’aborto è permesso fino al momento in cui il feto non è in grado di sopravvivere fuori dell’utero materno (ovvero circa 24 settimane dopo il concepimento)- affiancata inoltre dall’importantissimo concetto del “peso ingiustificato” (undue burden), per cui la legislazione statale non può né vietare l’aborto entro i limiti stabiliti dalla Roe v. Wade, né ostacolare una donna che desideri ricorrervi.
Oggigiorno, grazie al frastagliato percorso fin qui esposto, esistono sentenze come quella del ‘73 e del ‘92 che tutelano la donna che voglia sottoporsi ad una procedura di interruzione di gravidanza, anche se tuttavia la realtà pratica delle cose è molto più complicata: gli Stati più conservatori hanno da sempre cercato di creare ostacoli all’applicazione di quelle tutele, talvolta rallentando le pratiche o inserendo espedienti nella legislazione locale. Una svolta importante, a tal proposito, è avvenuta proprio nel 2019 quando grazie alla spinta conservatrice dell’amministrazione Trump, sono state approvate una serie di nuove leggi piuttosto restrittive come quella dello scorsomaggio in Alabama, che vieta l’aborto in tutti casi, senza alcuna eccezione.
L’obiettivo dei conservatori non è tanto quello di far approvare le legislazioni proposte ma piuttosto portare sul banco della Corte Suprema nuovi impedimenti volti a rallentare le procedure di aborto e innescare un dibattito nazionale. Il fenomeno a cui siamo chiamati ad assistente è senza ombra di dubbio un forte passo indietro dei diritti delle donne; la battaglia che si sta combattendo avrà sicuramente forti ripercussioni sul dibattito politico che conduce inevitabilmente alle prossime primarie e alle successive elezioni americane.