Il disegno di legge Zan
Il disegno di legge Zan consta di 10 articoli che integrano la precedente legge Mancino del 1993, la quale descrive misure di prevenzione e contrasto a discriminazioni o violenze per ragioni razziali, etniche, nazionali o religiose. Il DDL, dunque, aggiunge alla pena, aggravandola, motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.
Il punto forse più dibattuto deriva dalle argomentazioni secondo cui il DDL possa ledere alle libertà di opinione ed espressione, ma l’articolo 4 della legge stessa propone una salvaguardia, purché le suddette «non siano idonee a determinare il concreto pericolo di compimento di atti discriminatori o violenti». La manifestazione del pensiero è quindi fatta salva, chiarendo inoltre il limite che intercorre tra questa e le istigazioni all’odio o alla violenza, che di volta in volta verranno valutate da un giudice.
Nel testo di legge non è presente una distinzione tra omosessuali ed eterosessuali, pertanto non viene introdotta una protezione rafforzata. Semplicemente nei fatti la legge andrebbe a tutelare categorie di persone più deboli e in minoranza nella nostra società, maggiormente vittime di eventi che ledono la loro dignità come persona e non a causa di loro azioni o omissioni.
L’obiettivo del testo è duplice: da una parte reprime i c.d “hate crimes”, dall’altra dà attuazione ai principi di uguaglianza formale e sostanziale (articolo 3 comma 2 e 3 della nostra Costituzione).
Il DDL è fermo al Senato da sei mesi, in attesa della calendarizzazione da parte della Presidente Alberti Casellati, dopo che il 7 aprile il presidente della Commissione Giustizia Andrea Ostellari aveva rimandato ancora una volta la discussione con la scusante di formalismi tecnici.
Di fronte a un’ampia fetta dell’opinione pubblica che si è espressa a favore della legge, a petizioni e a un’ondata di manifestazioni sul web che attraverso dirette, articoli e dibattiti pubblici ne chiedono l’approvazione, con che coraggio si continua a fare ostruzionismo?
Perché non si guarda alla tutela dei diritti come un valore aggiunto nella società che evolve?