Il Canada è in fiamme e la colpa è di tutti noi
A partire dalla scorsa settimana, il Canada, generalmente associato a inverni alquanto rigidi ed estati miti, è stato colpito da un’ondata di caldo e temperatura record che hanno sfiorato di 50° Celsius e che hanno causato centinaia di incendi in tutto il Paese. A tal proposito va considerato che generalmente, nei mesi estivi, la temperatura media della costa ovest del Paese nordamericano si aggira intorno ai 20° Celsius, a dimostrazione dell’eccezionalità dell’episodio.
Andando più nello specifico, la piccola cittadina di Lytton, situata nella provincia della British Columbia (sulla costa ovest), è stata colpita da un’ondata di caldo catastrofica. Sin dai primissimi giorni, il sindaco Jan Polderman ne aveva ordinato l’evacuazione, in quanto si era creato un “muro di fuoco” inarrestabile. Si stima, infatti, che siano morte almeno 719 persone a causa degli incendi, mentre altre risultano ancora disperse. Lisa Lapointe, capo medica legale della provincia, ha dichiarato che si tratta di una cifra senza precedenti, tanto da essere tre volte superiore alla media di decessi registrati negli anni passati nello stesso periodo.
In più, gli effetti si sono propagati non solo a Vancouver B.C., ma anche in alcune aree dello Stato di Washington, negli Stati Uniti. Secondo quanto riportato dal British Columbia Wildfire Service, il corpo dei vigili del fuoco specializzato in incendi boschivi, buona parte di essi sarebbe iniziata per via di alcuni fulmini, mentre le elevate temperature e la scarsa umidità ne avrebbero favorito la propagazione.
Il villaggio scomparso in Canada
Vi è inoltre un altro aspetto che è necessario prendere in analisi: Lytton, allo stato attuale, non esiste più in quanto circa il 90% del proprio territorio è stato completamente avvolto dalle fiamme. Benché la cittadina registrasse regolarmente temperature più alte rispetto al resto del Paese, secondo i dati in queste settimane avrebbe superato persino quelle più elevate di Las Vegas. Il giornalista Justin McElroy (CBC Vancouver) ha condiviso sul suo account Twitter una foto che ritrae la città prima e dopo l’incendio che l’ha devastata: lo scenario è desolante e, per certi versi, post-apocalittico. Molti dei superstiti, infatti, hanno lasciato le proprie abitazioni portando con sé solo il minimo indispensabile, divenendo a tutti gli effetti sfollati interni del Paese.
«Ho pianto. Mia figlia ha pianto. Ha detto: “non so nemmeno perché abbia preso le mie chiavi. Potremmo anche non averla più una casa”. Le ho risposto: “Sì, lo so, ma finché saremo insieme, sopravviveremo”. Spero solamente che le nostre case ci siano ancora».
La crisi climatica nel Nord del mondo
Questa è solo una delle tante dichiarazioni di quelle famiglie che, nel giro di poche ore, hanno perso tutto ciò che avevano e alle quali il governo dovrà dare delle risposte concrete tanto sul piano economico, quanto su sociale e psicologico. Proprio il primo ministro Justin Trudeau ha comunicato che nei prossimi giorni incontrerà il sindaco di Lytton e il primo ministro della Provincia della British Columbia, John Horgan, al fine di concordare un piano per la salvaguardia delle foreste del Canada e per contrastare il riscaldamento globale. Episodi simili, infatti, sono destinati ad essere sempre più frequenti, specialmente a causa delle foreste sempre più aride e del minor numero di piogge. Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è detto molto preoccupato, dichiarando che queste ondate di calore saranno sempre più frequenti ed è necessario adeguare le infrastrutture alle condizioni meteorologiche più frequenti.
L’inquilino della Casa Bianca non ha torto, benché non consideri, in questa sua affermazione, il profondo divario tra il Nord e il Sud del mondo: i Paesi più ricchi sono i principali responsabili del cambiamento climatico, ma sono anche quelli maggiormente equipaggiati per difendersi; di contro, i Paesi più poveri sono quelli che più di tutti subiscono gli effetti più gravi della crisi climatica, in primis la carenza di risorse idriche adeguate.
L’episodio di Lytton è emblematico, in quanto dimostra come di fronte alla crisi climatica si debba rispondere globalmente e in maniera compatta. In più, gli sfollati della cittadina si possono, almeno in parte, includere tra i rifugiati climatici, destinati ad aumentare fino a duecento milioni entro il 2050. È fondamentale invertire la rotta, se vogliamo che altre città e altri cittadini non subiscano il medesimo destino, tanto nel Sud quanto nel Nord del mondo.