Il basket americano e l’influenza dello sport
Lo scorso 25 maggio 2020 negli Stati Uniti, quello che sembrava essere uno dei tanti e purtroppo sconvolgenti casi di abuso di potere ed eccessiva brutalità da parte delle forze dell’ordine ai danni di una persona afro-americana, si è rivelata essere la miccia che ha riacceso le proteste.
Tali rivolte hanno preso avvio a Minneapolis dopo l’ennesimo episodio avvenuto durante un arresto nel quale un ufficiale di polizia, Derek Chauvin, inginocchiatosi sul collo di un uomo di nome George Floyd, per 9 minuti e 29 secondi, ne ha provocato la morte per soffocamento.
Le proteste che si sono sollevate da quel momento in poi non hanno avuto soltanto ripercussione locale ma nel giro di alcuni giorni hanno coinvolto oltre 2000 città in tutti gli Stati Uniti e ricevuto sostegno anche a livello internazionale.
Il messaggio portato avanti dal movimento Black Lives Matter («le vite dei neri contano») da qual momento in poi non si è più arrestato, crescendo anzi esponenzialmente anche grazie alla risonanza mediatica data da personalità di spicco e molto popolari.
Già nel 2016 l’ex quarterback dei San Francisco 49ers (NFL), Colin Kaepernick, aveva tentato di puntare i riflettori su come la lotta per i diritti civili degli afroamericani sia tutt’oggi incompiuta, e lo aveva fatto inginocchiandosi durante l’esecuzione dell’inno nazionale prima delle partite di lega; gesto rimasto in solitaria e che aveva sollevato addirittura l’indignazione dell’allora presidente Donald Trump.
“There are things way bigger than basketball”
Dopo gli avvenimenti di Minneapolis, le proteste si sono protratte per tutta l’estate e anche le due maggiori leghe di basket americano (NBA e WNBA) hanno deciso di esporsi, senza spazio ad equivoci, ed uscire dalle bolle anti-covid nelle quali si stavano svolgendo i rispettivi campionati. La posizione politica e sociale che i giocatori hanno assunto si è dapprima manifestata con l’esposizione di striscioni sui campi, messaggi sui social e la possibilità abbracciata da tutti di indossare canotte personalizzate con slogan emblematici al posto del nome, tra i quali “giustizia”, “libertà”, “eguaglianza”.
Successivamente, seguendo l’escalation di eventi che nell’agosto 2020 ha visto crescere le brutalità commesse dalla polizia americana, è arrivata la decisione di sospendere tre match della WNBA in segno di solidarietà nei confronti di Jacob Blake, 29enne colpito alla schiena ancora dalla polizia del Minnesota durante una sparatoria. L’azione di boicottaggio è stata poi coordinata con la NBA, entrata nelle prime fasi dei playoff tra Milwaukee Bucks e Orlando Magic.
La visibilità e la rilevanza che il gioco del basket ha nella società americana è sinonimo di come quello che succede all’interno del quadrato di gioco, in questo caso le proteste, possa creare rumore ben oltre il campo e a lasciare un segno indelebile nella storia di questo sport e ben oltre, influenzando i comportamenti delle persone nella società.
Per una lega che conta il 75% di giocatori afroamericani, i suoi volti più importanti come LeBron James, Russell Westbrook, Kyrie Irving, Tasha Cloud e Sue Bird hanno usato le proprie piattaforme come cassa di risonanza anche nei recenti casi di razzismo contro la comunità asiatica.
Come ha dichiarato Chris Paul, il presidente dell’associazione che rappresenta i giocatori di basket (NBPA): «Le questioni del razzismo sistemico e della brutalità della polizia nel nostro Paese devono finire e, in quanto rappresentanti dei giocatori della NBA e come sistema complessivo, è nostro compito utilizzare la nostra capacità di comunicazione per mettere in evidenza questi problemi e lavorare per il cambiamento”.