I bambini migranti e l’inclusione scolastica in Italia
Il nostro mondo è sempre più investito da profonde trasformazioni dal punto di vista socio-economico, il che porta con sé un grande flusso migratorio che dagli anni ’70 è andato intensificandosi in tutte le parti del globo. Questa dinamica riguarda non solo gli adulti, bensì anche i bambini, i quali per le esigenze dei genitori, o per proprie esigenze, sono costretti a migrare e mutare le proprie condizioni di vita adottando spesso gli aspetti culturali nei quali sono inseriti. Le società moderne sono ormai multiculturali, ma non tutti gli Stati sono riusciti a raggiungere degli accordi che prevedano un inserimento reale dei minori nelle società e questo problema riguarda anche l’Italia.
La proposta educativa in un contesto non obbligatorio
Il nostro Paese ha proposto solo nel 2007 un documento, redatto dal ministero della Pubblica Istruzione e Osservatorio Nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, che avanzasse una reale integrazione degli alunni stranieri e un’educazione interculturale. Era dichiarato esplicitamente come «la via italiana all’Intercultura unisce alla capacità di conoscere ed apprezzare le differenze, la ricerca della coesione sociale, in una nuova visione di cittadinanza adatta al pluralismo attuale, in cui si dia particolare attenzione a costruire la convergenza verso valori comuni». È quindi indispensabile un’interconnessione tra la cittadinanza, così come la costruzione di essa, e l’istruzione. Tuttavia è palese e sotto gli occhi di tutti che questo tipo di documento non sostituisce una vera obbligatorietà che preveda l’aspetto interculturale all’interno di ogni grado di istruzione nella scuola italiana; dunque questa tipologia di educazione viene interpretata come extra, diventando necessaria solo quando il numero di alunni stranieri è consistente. I bambini immigrati in Italia vivono pertanto una situazione che passa dall’invisibilità ad una visibilità fin troppo elevata, data dai tratti somatici e dal tipo di cultura di cui sono portatori.
L‘inclusione scolastica delle seconde generazioni
Spesso si cade nell’errore di riunire in una sola grande categoria tutte le persone che hanno caratteristiche visibili simili, senza tenere conto di ciò di chi essi siano realmente e individualmente. Inoltre, da un punto di vista legale e burocratico, sono tantissimi gli aspetti che ad oggi influiscono sull’acquisizione della cittadinanza di uno Stato da parte di un bambino. Si parla nel nostro Paese- a vario titolo e con diversi gradi di imprecisione- di “seconda generazione di immigrazione”. In questa enorme definizione, infatti, può rientrare: la seconda generazione propriamente detta, ovvero i figli nati in Italia di genitori immigrati; la generazione “1,5” costituita dai bambini arrivati in Italia dopo la nascita; la generazione “1” degli individui immigrati arrivati in Italia in maniera indipendente ma non prima dei 15 anni. Tutti i minori con un cosiddetto background migratorio dovrebbero rappresentare uno dei pilastri dei processi di integrazione, eppure essi subiscono numerose ingiustizie legali e spesso risultano quasi invisibili. Ne è una prova la presenza di un dibattito ancora troppo divisivo e spesso violento sul tema ius soli o ius sanguinis all’interno dell’opinione pubblica e nelle aule parlamentari: nel primo caso si tratta dell’acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati in quel territorio al di là della cittadinanza dei genitori; nel secondo invece si tratta della trasmissione della cittadinanza genitoriale ai minori. Fin quando non si giungerà ad un approccio unico, che preveda pari diritti ed opportunità per ogni minore residente nel nostro Paese, la scuola italiana avrà processi di integrazione instabili e asimmetrici con conseguenti problemi a livello di inclusione sociale.
La formazione per gli educatori
L’implementazione e il potenziamento dell’inclusione scolastica sarebbe la via più giusta da percorrere ed il percorso dovrebbe essere il più semplice possibile. Si auspicano risultati vincenti nel breve termine, soprattutto considerata l’attuale situazione in Afghanistan, che porterà inevitabilmente ad un numero crescente di bambini immigrati in Europa che dovranno inserirsi anche nel nostro Paese. Il personale scolastico dovrebbe poter attingere a dei corsi che formino da un punto di vista interculturale, come sta già accadendo in ambito universitario dove sono sempre di più i corsi che propongono questo tipo di strategie utili a formare i docenti e professionisti del domani in una visione sempre più multiculturale ed inclusiva.