Gli affreschi di Annibale Carracci nella Galleria Farnese
Artista di spicco nella storia della pittura tra Cinquecento e Seicento, Annibale Carracci fu considerato dagli storici del tempo come il nuovo Raffaello.
Annibale, nato a Bologna nel 1560, visse nella stessa epoca del Caravaggio, ma, a differenza del pittore lombardo, ricevette sin da subito un grandissimo apprezzamento da parte degli studiosi contemporanei che lo vedevano come un innovatore della pittura.
Molti studiosi videro riaccendersi quella che era stata nel Rinascimento la contrapposizione tra Michelangelo e Raffaello, nuovamente alla fine del ‘500, ed aveva come protagonisti Annibale e Caravaggio.
La formazione culturale del primo si basava sull’organizzazione del lavoro nell’ambito di una “scuola”, ricalcando l’antica pratica di bottega. In effetti, dal 1582, Annibale, insieme al fratello maggiore Agostino e il cugino Ludovico, fonderà a Bologna la celebre Accademia degli Incamminati, che si proponeva di formare giovani pittori.
Il secondo, pur essendo stato allievo di Simone Peterzano (scuola tizianesca), praticò la professione di pittore in solitudine, senza creare una scuola né tantomeno formare discepoli.
Nonostante la scarsa documentazione, gli affreschi della Galleria di palazzo Farnese a Roma rappresentano uno dei massimi capolavori eseguiti dall’artista. Si tratta di un’opera commissionata dal cardinale Odoardo Farnese, alla quale Annibale lavorò, in più riprese, tra il 1597 e il 1607.
È certo che già dal 1597-1598, Annibale dovette servirsi di giovani collaboratori capaci, entrati stabilmente nella sua cerchia, come il Domenichino, e non mancò il supporto del fratello maggiore Agostino e del nipote Antonio Carracci.
Il tema di fondo della volta è quello dell’Amore degli dèi, amore vissuto in tutte le sue forme, da quella tormentosa a quella idilliaca, rappresentato mediante le coppie più celebri della mitologia (basate principalmente sulle Metamorfosi di Ovidio).
La finalità era quella di celebrare le nozze tra Margherita Aldobrandini, nipote di Papa Clemente VIII, e Ranuccio Farnese.
Inoltre, il Trionfo di Bacco e Arianna, al centro della volta, si pone nel contesto di palazzo Farnese come il trionfo dell’arte della pittura e l’alba di una nuova rinascita.
Caratteristica propria di Annibale è anche la conciliazione del colore e del disegno, come scriveva l’erudito perugino Luigi Pellegrino Scaramuccia nel suo trattato Le finezze dei pennelli italiani (1674): «S’abbatterono alla fine nella famosa, non meno che ammirabile, Galleria dipinta a fresco, quale per sempre a onta dell’Invidia sarà eternamente apprezzata per un singolar portento del pennello del grand’Annibale Carracci, poiché il disegno in essa in compagnia d’un perfetto colorito, eccellentemente trionfa, e gli artifici, le Maestrie, e le vaghe Inventioni vie sempre per quelle pareti, per meraviglia d’ogni ingegno, ad ogn’hora risplendono».
Le luminose cromie accompagnano gli scultorei corpi quasi michelangioleschi che si stagliano su una prospettiva illusionistica. In relazione alla natura della stesura dei pigmenti, sono state impiegate tecniche diverse: sulle parti ad affresco si sovrappongono stesure di colore a secco, come si vede nel ciclo del Trionfo di Bacco e Arianna in cui, su una stesura di smaltino dato a fresco, si sovrappone l’azzurrite tratteggiata a secco, conferendo l’effetto luminoso dei cieli. Il tratteggio ritorna anche nelle ombre, unito a puntini rotondi.
La fatica di dieci lunghi anni di lavoro non sarà tuttavia giustamente ricompensata dal cardinale Odoardo, che una volta terminati i lavori, dopo aver fatto vivere in condizioni tutt’altro che agiate il pittore emiliano, lo pagherà malissimo, tanto da provocargli una grave crisi.