E tu lo sai cos’è la dislessia?
A cura di Marianna Giuliano
Cosa hanno in comune Einstein, Galileo Galilei e Leonardo Da Vinci – oltre al fatto di essere stati dei geni-? Semplice, erano dislessici. Eppure hanno fatto grandi cose.
Facciamo un passo indietro. Non tutti sanno cos’è la dislessia: c’è chi pensa sia una malattia, chi un disturbo cognitivo e chi… ne ignora del tutto il significato. La dislessia è un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), così come la discalculia, disortografia e disgrafia.
Le persone con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) non hanno una malattia: il loro cervello funziona soltanto in modo diverso. Questo significa che potranno leggere, scrivere e fare i calcoli esattamente come tutti e tutte, avranno soltanto bisogno di più tempo e di una maggiore attenzione. Non c’è una “cura” per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, appunto perché essere DSA non vuol dire essere malati. Essere dislessici significa trovare una strada diversa da quella che solitamente viene percorsa per raggiungere determinati obiettivi, lo stesso vale per chi è discalculico, disgrafico e disortografico. Una di queste strade è utilizzare degli strumenti compensativi per formare un proprio metodo di apprendimento e far emergere il proprio talento. Non solo a scuola.
Più dislessici di quanti pensiamo
Non credete che le persone dislessiche in Italia siano poche: come si legge nel sito del MIUR, gli alunni e le alunne dislessici nell’anno scolastico 2018/2019 erano più di 180.000. Un numero in continua crescita che non dovrebbe sorprenderci.
Quando appena vent’anni fa un alunno in classe si distraeva sempre, non riusciva a concentrarsi, non ricordava le tabelline e non sapeva leggere velocemente come il resto della classe, era semplicemente un ragazzino svogliato che nella vita non avrebbe mai fatto nulla di concreto.
«Non sta mai attento, è svogliato. Questo ragazzino non si applica!»
Nessun insegnante o genitore – se non pochissime eccezioni – si accorgeva che in realtà c’era qualcosa di più.
«La colpa è di tutti quei videogiochi! Guardi troppa televisione!»
E allora via il videogioco e via la televisione, il computer, lo smartphone, il gioco preferito e le uscite al cinema con gli amici. Tutto questo “perché non ti applichi”. E invece la storia è diversa: ti applichi, ci provi con tutte le tue forze, ma proprio quella parola non riesci a capirla, la lettera p e la lettera b si confondono, e qual è la differenza? Quindi cresci con la consapevolezza che lo studio non faccia al caso tuo.
Chissà quante di queste persone avrebbero continuato gli studi all’università, se solo avessero saputo di essere dislessici. Quanto sarebbe stato più facile studiare con gli strumenti adatti.
Non tutti hanno avuto la fortuna di ricevere la diagnosi da piccoli durante le scuole elementari. Molti hanno dovuto aspettare le medie, altri ancora le superiori. Altri, invece, hanno addirittura aspettato di compiere 30, 40, 50 anni prima di scoprire di essere dislessici. Qual è il problema di tutto ciò?
Anzitutto, il fatto che a scuola non sia stato possibile utilizzare degli strumenti compensativi per agevolare l’apprendimento; e in secondo luogo, va considerato che la dislessia non diagnosticata infrange i sogni, distrugge le relazioni. Dai compagni di classe agli insegnanti, dai genitori ai fratelli e sorelle. In casa, così come a scuola, sei e sarai sempre “quellə svogliatə”.
Un podcast che parla di dislessia
Fortuna che viviamo negli anni 2000 e che gli smartphone non servono soltanto per i selfie, le foto delle vacanze e per inviare messaggi vocali.
Edizioni Centro Studi Erickson in collaborazione con AID (Associazione Italiana Dislessia) ha registrato un podcast che parla di dislessia. Una serie di interviste che raccontano le fatiche e i successi di chi vive fianco a fianco alla dislessia.
Ascolta “A Modo Mio. Storie di vita e dislessia – Trailer” su Spreaker.Abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Beatrice Lambertini, in arte Bea Lambe, che nel 2020 – ad appena vent’anni – ha partecipato alle audizioni di XFactor cantando un suo brano dal titolo Superpotere. Il superpotere di Bea? La discalculia. Ci ha raccontato che per tanti anni si è sentita diversa, incapace di comprendere. «C’è qualcosa di sbagliato in me?», si chiedeva. Eppure trascorreva ore e ore a studiare, ma quelle formule di matematica, quelle date in storia proprio non le entravano in testa. Soltanto in terza media è venuta a capo del suo DSA, e finalmente tutto ha iniziato ad avere un senso.
Beatrice ha voluto raccontare cosa significa avere un DSA su un palco così importante come quello di XFactor, perché sapeva che sarebbe arrivata ai giovani e avrebbe così mandato un messaggio importantissimo: non siamo sbagliati, siamo solo diversi; ma in fondo siamo tutti diversi, e non è bellissimo?