Donne e leadership: ancora non ci siamo
Quando nel 1979 Margaret Thatcher divenne la prima donna a ricoprire il ruolo di Primo Ministro, alcune fonti riportano che nel rituale colloquio con la Regina Elisabetta II, quando quest’ultima fece acutamente notare come non ci fossero nominativi femminili tra coloro che andavo a formare il nuovo governo conservatore, la leader del partito allora rispose: «Not just because there aren’t any suitable candidates. But I have found women in general tend not to be suited to high office anyways». La motivazione? Tendono a diventare troppo emotive.
Più di cinquant’anni dopo, Yoshiro Mori, il presidente del Comitato organizzatore dei Giochi Olimpici di Tokyo, ha risposto in modo pressoché simile ad una domanda sulla scarsa presenza di donne all’interno del comitato che presiede «Il problema è che le donne parlano troppo…le riunioni non finirebbero mai, …risultando fastidiose».
Nancy Pelosi walked so Kamala Harris could run
Pertanto, quando nel cuore delle elezioni americane del 2020, Joe Biden ha scelto Kamala Harris come sua vice presidente per la corsa alla Casa Bianca, è apparsa a tutti come una scelta rivoluzionaria – sebbene al contempo prevedibile-.
Quello che appare tanto progressista nella figura di Harris sono, tra le tante cose, le sue origini: figlia di padre giamaicano e madre indiana, è la prima donna, nera e di origini asiatiche, a staccare un ticket nella storia delle campagne presidenziali. Nella breve storia della Repubblica a stelle e strisce Harris è soltanto la quarta donna – dopo Geraldine Ferraro, Sarah Palin e Hillary Clinton – ad apparire tra i candidati alle elezioni presidenziali di uno dei due partiti.
Durante quello che è stato, dunque, il discorso di Joe Biden al Congresso per i 100 giorni dal suo insediamento, un’immagine ha catturato l’attenzione alle spalle del presidente, marchiando inevitabilmente a fuoco la storia degli Stati Uniti. Come ha voluto sottolineare Biden rivolgendosi ai presenti: «Madam Speaker, Madam Vice President. Da questo podio, nessun presidente ha mai detto queste parole. Ed era ora»; questo momento racchiude un significato fortemente simbolico poiché di fianco a Kamala Harris era seduta proprio la Speaker della Camera Nancy Pelosi – anche lei prima donna a ricoprire tale ruolo, a partire dal 2007-.
Donne e leadership in Europa
Mentre l’amministrazione Biden è, dati alla mano, la più inclusiva senza distinzioni di nessun tipo, viene naturale fare un paragone con ciò che succede in Europa.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nell’ultima plenaria del Parlamento europeo è tornata sul nefasto evento ormai noto a tutti come “Sofagate”, ribadendo di essersi sentita profondamente ferita dal trattamento riservatole ad Ankara: «Sono la prima donna a essere presidente della Commissione europea- ha detto la leader UE-. Ed è così che mi aspettavo di essere trattata, come un presidente di Commissione, ma non lo sono stata… Devo concludere che è successo perché sono una donna».
Quello che ha voluto sottolineare von der Leyen con il suo intervento è come tutt’oggi esistano parti del mondo (tra cui l’Europa dunque) dove a donne che ricoprono cariche importanti non viene riconosciuto il prestigio che ne consegue, evidenziando inoltre come questo accada spesso a chi può “dar voce”, in virtù della propria posizione privilegiata, alla situazione di diseguaglianza di genere imperante tanto nei palazzi di potere quanto nel tessuto sociale.
Sebbene l’Europa abbia una storia secolare di donne che hanno segnato i passi della storia – basti pensare a Elisabetta I Tudor, Maria Teresa D’Austria, Caterina II di Russia, Vittoria D’Inghilterra, solo per farne alcuni esempi- oggi va detto che il Vecchio Continente riporta una performance alquanto deludente in riferimento alla leadership femminile. Nel Parlamento europeo solo il 36% dei deputati sono donne; considerando i 27 Paesi UE e il Regno Unito, solo il 14,3% dei premier è donna e tra i Capi di Stato la quota sale appena al 21,4%. L’Europa conta appena un 30% di ministri donne contro però il 19% su scala globale. Nel mondo, su circa 200 Paesi, solo 20 sono guidati da capi di Stato donne.
È evidente come il gap da colmare sia ancora abissale. In Europa, dove i nomi di giovani donne della politica europea come quello di Kaja Kallas -neo premier estone- e della premier finlandese Sanna Marin, sono affiancati da figure più navigate come quella della Cancelliera tedesca Angela Merkel è necessario che l’accesso delle donne ai ruoli di leadership diventi la quotidianità o meglio-per abbracciare le parole di Kamala Harris- «la normalità».