Crisi a 5 Stelle: in attesa della nuova leadership
Il primo giugno può essere definita come la data di svolta per il futuro del Movimento 5 Stelle, e per i suoi esponenti in generale.
Il Garante della Privacy si è infatti espresso sulla disputa tra il Movimento e l’Associazione di proprietà di Davide Casaleggio che gestisce la piattaforma Rousseau, riguardo la lista degli iscritti 5Stelle in mano a quest’ultima (che ne era di fatto l’unica titolare legale): con una pronuncia il Garante ha imposto il rilascio dei dati che dovranno essere restituiti al Movimento. Questo passaggio sarà fondamentale per il futuro dei grillini, dal momento che le votazioni (strumento da sempre utilizzato sulla piattaforma online dell’associazione) potranno tornare attive su un’altra piattaforma e così potrà essere sancita ufficialmente l’elezione di Giuseppe Conte (precedente presidente del Consiglio dei Ministri e attuale capo in pectore) come nuovo leader e con lui potrà essere approvato anche il nuovo statuto.
Lo stesso Conte ha inoltre annunciato la buona riuscita delle trattative con Casaleggio per il saldo dei debiti che gli eletti del Movimento hanno accumulato a fronte dell’obolo mensile di 300 euro che, secondo le condizioni sottoscritte, deve essere corrisposto per usufruire dei servizi della piattaforma Rousseau. Si pensa che il Movimento abbia riconosciuto una somma in denaro ma i termini non sono attualmente noti.
Lo storico sodalizio bilaterale (nato per un’idea di democrazia “diretta”) giunge così alla sua conclusione dopo svariati anni; nato agli albori del Movimento (fondato nel 2009) da un accordo tra Gianroberto Casaleggio (padre di Davide) e l’attuale garante e guida dei 5S, Beppe Grillo.
La decisione della separazione sarebbe maturata con la nascita del nuovo governo Draghi, a cui Movimento ha deciso di aderir,e entrando nella maggioranza di governo con la Lega e Forza Italia, due partiti con il quale ci sono stati da sempre gravi dispute ideologiche e politiche (nonostante la recente alleanza al governo con la Lega).
La fiducia al nuovo presidente del Consiglio non è stata tuttavia unanime: molti dei parlamentari al momento del voto hanno scelto di astenersi o bocciare la fiducia, in segno di protesta verso il nuovo governo (che ha sostituito il Conte II). Per tale ragione, molti parlamentari e militanti 5 Stelle sono stati espulsi dal partito con effetto immediato, evidenziando una crisi interna.
Rifondazione (non proprio) dal basso del Movimento 5 Stelle
Il danno di credibilità e di immagine seguiti al provvedimento ha convinto Grillo e gli esponenti di maggior peso a consegnare il ruolo di leader a Conte, individuato come l’unica figura (calcolato anche l’addio di Alessandro Di Battista) abbastanza autorevole e competente per riformare il partito, e con un gradimento tra i cittadini ancora molto elevato.
Dopo aver accettato formalmente l’incarico, l’”Avvocato del popolo” si è dovuto subito scontrare con la difficile realtà del Movimento: da una parte le diatribe con Casaleggio (di cui sopra) e dall’altra la necessità di inaugurare una nuova linea politica, che si distacchi dai tradizionali metodi populisti e da una comunicazione da sempre votata all’offesa, più o meno diretta verso i “nemici” politici.
Conte da pochi giorni ha condiviso sulle sue pagine social quelli che saranno i nuovi valori etici e politici del Movimento, focalizzati, appunto, sul rispetto dei diritti e dell’integrità della persona, su una integrazione ecologica a favore dell’ambiente e al rispetto dei valori di giustizia e legalità (attraverso la riforma della Giustizia da anni sponsorizzata dai 5S).
Il lavoro fin qui sviluppato viene apprezzato da molti esponenti del partito, convinti che la strada intrapresa sia quella giusta; tuttavia, esiste una- non esigua- parte di essi che pubblicamente ha protestato per la mancanza di partecipazione nella stesura del nuovo corso: Conte è stato infatti criticato per aver lasciato ai margini decisionali la maggior parte degli eletti e di non aver informato in tempi rapidi sugli sviluppi. Questo malcontento interno potrebbe generare molti problemi in futuro, minando sul nascere il rapporto di fiducia tra il neo leader e gli altri esponenti.
Il nuovo Di Maio
Il Movimento sta affrontando una fase delicata della sua storia, la necessità di cambiare la propria natura sembrerebbe l’unica strada percorribile, anche se la crisi che sta attraversando non lascia margini di errore. Lo ha capito Luigi di Maio, attuale Ministro degli Esteri ed ex-capo del partito: da tempo l’ex ministro del Lavoro si è staccato, almeno pubblicamente, dalle dinamiche interne, preferendo concentrarsi solo sul suo incarico al governo e sulla sua immagine, come dimostrano le recenti scuse pubbliche rivolte all’ex sindaco Pd di Lodi, Simone Uggetti, oggetto di una campagna pesantissima di attacchi da parte grillina a seguito della condanna in primo grado per turbativa d’asta poi trasformatasi in assoluzione in appello.
Le scuse pubbliche di Di Maio rappresentano la sua nuova personale svolta politica caratterizzata dall’abbandono del giustizialismo (ovvero la richiesta di una giustizia rapida, severa e a volte sommaria, di chi si è reso colpevole, presumibilmente, di specifici reati, soprattutto quelli politici) tanto caro al Movimento, per abbracciare il garantismo (che può essere definito come la controparte, atto al rispetto dei diritti individuali e delle garanzie costituzionali degli imputati).
Una trasformazione che vede Di Maio sempre più uomo dello Stato e meno militante e volta, forse, a presentare alla base del Movimento un futuro nuovo leader più simile al Conte attuale che allo stesso Di Maio di qualche tempo fa.
Di sicuro il ministro è consapevole che, allo stato attuale, una figura gradita come Conte è necessaria al partito e per il momento sarebbe impensabile configurare un suo ritorno a capo del Movimento in tempi brevi anche se le dinamiche politiche non sono certo nuove a queste strategie.
Il futuro del Movimento è ancora tutto da decifrare.