Che cos’è il tokenismo?
Il tokenismo, (tokenism in inglese) deriva dalla parola token, definito come “un elemento che ha un valore determinato e lo ha solo ed esclusivamente se è contestualizzato, cioè se è inserito all’interno di un contesto”: un esempio è il gettone che si utilizza in una qualsiasi sala giochi, fuori dalla quale non avrebbe nessun valore.
Dove troviamo il tokenismo?
Il fenomeno del tokenismo riprendendo il concetto di simbolo, definisce il fenomeno attraverso cui gruppi di maggioranza reclutano, all’interno di un determinato contesto, persone appartenenti a gruppi di minoranze (etniche o di genere) per lanciare un messaggio di inclusività, che molto spesso si rivela essere falso. Il tokenism è molto diffuso nelle serie TV e nei film, ma anche in altri contesti, come i salotti televisivi o la stessa politica.
Tra gli ultimi casi troviamo, ad esempio, quello denunciato dalla giornalista e scrittrice Rula Jebreal che, invitata a Propaganda Live (programma di LA7 condotto da Diego Bianchi), avrebbe declinato l’invito proprio a causa della mancata rappresentanza di donne (su sette invitati una era donna) e dichiarando poi il modo ingiusto con cui- a suo parere- le ospiti sarebbero trattate, a partire dai brevi(ssimi) interventi delle stesse: «lo capisci quando fanno interventi da 30 secondi, e poi restano ad ascoltare una trasmissione di due ore in cui parlano solo uomini», ha dichiarato Jebreal.
In effetti già dal 1991 esiste un termine che rispecchia perfettamente questo concetto: the Smurfette principle, “il principio di Puffetta”, locuzione nata per indicare la presenza di un’unica donna all’interno di un gruppo interamente composto da uomini. Marina Pierri, critica televisiva, direttrice artistica del festival delle serie TV e autrice di “Eroine. Come i personaggi delle serie TV possono aiutarci a fiorire” afferma che Smurfette principle e tokenism sono legati da un file rouge e: «possono essere considerati con una doppia valenza: da un lato abbiamo un’affermazione della minoranza numerica, della persona che è percepita come altra e rappresenta un’alterità, come dire che le donne sono poche, anche se non sono affatto una minoranza. La seconda valenza è mostrare come questo tipo di alterità sia funzionale alla rappresentazione dominante: quella della bianchezza e della mascolinità. Si vuole dimostrare che questa è un’alterità anche perché così si rafforza la normalità del gruppo dominante».
Cosa sono i token?
Dal podcast “Sulla razza” , da cui è tratta proprio l’intervista a Marina Pierri, si parla delle caratteristiche dei token (i “prescelti” nel gruppo dei gruppi dominanti) all’interno delle narrazioni comuni: visibilità, polarizzazione e assimilazione. I token sono più riconoscibili, in quanto inferiori all’interno del gruppo; sono invasi dal concetto dell’esagerazione, avendo caratteristiche somatiche diverse, rendendo così il gruppo dominante sempre più coeso e più consapevole delle differenze con gli stessi token; a volte, le caratteristiche dei token vengono distorte e assimilate all’interno del gruppo dominante, in modo da apprendere gli stessi valori del gruppo e creare una narrazione rassicurante e accogliente per gli spettatori.
Serie tv e cinema
Jodie Turner-Smith nei panni di Anna Bolena nell’omonima serie tv in uscita, è un caso emblematico: appena uscita la notizia, i puristi e i conservatori inglesi- e non solo- si sono indignati di fronte all’inesattezza storica rispetto alla scelta del personaggio. Perché si sa, un’attrice nera deve obbligatoriamente ricoprire il ruolo corrispondente agli stereotipi forgiati dalla narrazione occidentale. La “Anna Bolena nera” fa parte di una pratica che si sta diffondendo negli ultimi anni nel mondo audiovisivo: il “colour- blind casting”, in cui la scelta dell’interprete è scollegata da qualsiasi aspetto riguardi il sesso, il genere e l’etnia del personaggio da ricoprire. Di questo fenomeno fanno parte anche “Bridgerton” e “La vita straordinaria di David Copperfield” in cui il personaggio principale è Dev Patel. Tra le produzioni più inclusive abbiamo “Zero” la serie Netflix di Antonio Dikele Distefano, in cui i protagonisti sono ragazzi italiani neri che interpretano una storia universale. È necessario che sullo schermo, a prescindere dagli stereotipi e dalle categorizzazioni, tutti abbiano la possibilità di ricoprire personaggi di spessore, rompendo l’incastro a cui siamo -spesso- abituati ad assistere: ad esempio, in Italia, quello della rappresentazione delle persone nere con i ruoli di criminali, domestici e, per le donne, prostitute. Per concludere, la vita reale e cinematografica non è solo quella che delle persone bianche, ed è quindi indispensabile che si racconti la storia di tutti e che possa essere raccontata indistintamente da tutti.