All the voices in my mind: schizofrenia e AVATAR terapia
Vincitore di quattro Premi Oscar e altrettanti Golden Globe, nonché di altri riconoscimenti nazionali e internazionali, “A beautiful mind” di Ron Howard è stato uno dei film più influenti del primo decennio degli anni duemila e un capolavoro imperdibile per tutti gli amanti del cinema.
Quello che pochi sanno, però, è che le allucinazioni visive, che ricoprono una parte così grande del film, non sono mai state effettivamente un sintomo della malattia del vero John Nash, matematico ed economista statunitense vincitore del Premio Nobel nel ’94 che ha ispirato il personaggio principale interpretato da Russell Crowe. John Forbes Nash jr. (1928-2015), infatti, come molti pazienti affetti da schizofrenia, soffriva principalmente di allucinazioni uditive.
La schizofrenia nel tempo
Nonostante l’incidenza della malattia non sia cambiata negli ultimi due secoli- e si presuma che sia rimasta stabile nel corso del tempo in generale- la diagnosi di schizofrenia è abbastanza recente. Il padre di questo termine è Eugene Bleurer, psichiatra svizzero che nel 1920 usò per primo questa definizione. Il lavoro di Bleurer, tuttavia, era costruito sulle considerazioni fatte alcuni anni prima da Emil Kraepelin, psichiatra e psicologo tedesco, sulla malattia che egli stesso definì come “demenza precoce”.
Stando ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attualmente sono circa 24 milioni le persone in tutto il mondo che soffrono di schizofrenia, con una prevalenza di circa 1%. Nonostante questi numeri possano apparire bassi, la violenza con cui questa malattia distrugge la vita degli individui che ne soffrono la rende uno dei disturbi psichiatrici più difficili da trattare, nonché impossibili da curare. La schizofrenia, infatti, include tre diversi cluster di sintomi: da un lato, i pazienti schizofrenici presentano tipici sintomi psicotici che fanno pensare ad un perduto contatto con la realtà (allucinazioni e delusioni); questi cosiddetti sintomi “positivi” sono accompagnati anche da sintomi “negativi”, per cui c’è la perdita di normali funzioni psicologiche come la motivazione o l’interazione sociale, e “cognitivi”, soprattutto legati ad un’alterata memoria di lavoro. La sintomatologia più eclatante della schizofrenia, però, è quella positiva e, in particolare, le allucinazioni uditive.
Allucinazioni uditive e nuove frontiere di trattamento
Circa il 70% delle persone con una diagnosi di schizofrenia riporta di avere delle allucinazioni uditive che possono manifestarsi come una sola voce dominante oppure diverse voci. Il problema delle allucinazioni uditive è che si tratta di voci non intenzionali e intrusive, su cui il paziente non ha alcun controllo e che spesso hanno una forte componente emotiva negativa, dal momento che sono percepite come dominanti e onnipotenti. Quello che manca ai pazienti affetti da questo disturbo è la capacità di riconoscere le suddette voci come proprie e quindi la possibilità di esercitare un controllo su di esse. La componente emotiva negativa fa sì che i pazienti inizino a temere gli episodi psicotici che non riescono a gestire, aumentando una situazione di stress già elevato. Come fare, quindi, a migliorare la condizione di queste persone?
Se, da un lato, i farmaci antipsicotici offrono un temporaneo sollievo durante una fase psicotica acuta, dall’altro essi non eliminano il problema alla radice. E se la cura della schizofrenia sembra ancora un miraggio, tecnologia e realtà aumentata offrono un nuovo approccio alla terapia. Quello che il team del Professor Tom Craig al King’s College di Londra sta studiando, infatti, è un nuovo metodo per aiutare a combattere le voci intrusive. La loro proposta, chiamata AVATAR terapia, si basa sulla volontà di cambiare la relazione di potere tra la voce dominante e il paziente, che si ritrova spesso a ricoprire un ruolo sottomesso. Un avatar digitale viene creato a computer, cosicché la voce sia il più simile possibile a quella che il paziente riferisce di sentire, e viene poi controllato dal terapeuta, che sceglie che cosa far dire all’avatar. Si instaura, quindi, una comunicazione, questa volta controllata, tra paziente e avatar/terapeuta, dove il dialogo diventa la porta per aiutare il paziente a padroneggiare la voce, che, seduta dopo seduta, diventa più conciliante e meno dominante.
Nonostante si tratti di una terapia sperimentale, i risultati di Craig e colleghi sono entusiasmanti: sembra che l’AVATAR terapia sia in grado di ridurre sia la frequenza delle allucinazioni che lo stress ad esse legato, più di quanto non faccia il counselling canonico.
E se ancora si dovrà aspettare per poter debellare del tutto la schizofrenia, il lavoro di Craig e il suo team ci insegna che convivere con le proprie allucinazioni uditive è possibile e che la tecnologia, al servizio della persona, può fare miracoli.