“Alba gu Brath!”: Viaggio nell’indipendentismo scozzese
La recente vittoria elettorale dello Scottish National Party (SNP) di Nicola Sturgeon ha riproposto le ambizioni indipendentiste scozzesi a Downing Street. Nonostante la sconfitta del primo storico Referendum del 2014, l’SNP non ha mai cessato di rivendicare il diritto della Scozia di uscire dalla Gran Bretagna; oggigiorno, dopo la Brexit, tale sentimento sembra sempre più condiviso nel Paese. Nelle votazioni per Brexit del 2017 la maggioranza degli scozzesi si espresse a favore del “remain” all’interno dell’UE ma, data la complessiva vittoria dei “leavers” all’interno dell’intera Gran Bretagna, il Paese fu costretto ad accettare la separazione. La difficile situazione è stata temporaneamente accantonata per far fronte comune contro la pandemia ma, visti i comuni successi in questa lotta, un nuovo scontro sembra inevitabile: Londra non ha intenzione di perdere la Scozia, “concedendola” all’UE mentre Edimburgo sembra non voler più sottostare alle decisioni inglesi in materie (a detta dei separatisti) di “politica nazionale scozzese”.
Questa la situazione fino ad oggi. Tuttavia, per comprendere le ragioni indipendentiste dobbiamo ricercare le loro radici storiche e culturali nella storia del Paese.
Da Alba a Scot-land, dal primo regno alla Gran Bretagna
“Alba gu Brath” (Scozia per sempre) è un motto patriottico in Gaelico Scozzese entrato nel vocabolario comune. Alba si riferisce al primo regno unitario conosciuto in Scozia: fondato nella prima metà del IX secolo da Kenneth I MacAlpin, sovrano degli Scoti, dopo una lunga guerra con i Pitti. Essendo in realtà una confederazione di numerosi signori locali (righ), Alba pose le basi per la nascita dei clan e di un sistema clientelare basato sulla forza e non sul diritto. L’utilizzo del gaelico come lingua comune pose le basi per un primo, arcaico, senso di appartenenza comune tra gli Scoti e i Pitti, diffondendosi nella regione. Fu solo la conquista normanna dell’Inghilterra (Hastings, 1066) per mano di Guglielmo Il Conquistatore a porre la prima vera minaccia al regno nordico. La forte influenza anglo-sassone spinse le regioni più meridionali di Alba ad adottare lingua e tradizioni diverse da quelle gaeliche, iniziando così una storica differenziazione tra Highlands e Lowlands presente ancora oggi.
Nel XIII secolo, con la conquista inglese del Galles ad opera di Edoardo I Plantageneto e l’improvvisa morte dell’erede al trono (1290), si aprì in Scozia una crisi che travolse il Paese. Un’alleanza con i francesi (in guerra con gli inglesi sul continente nella Guerra dei Cent’Anni) permise di poter scongiurare un’invasione su larga scala, ma sempre più nobili scozzesi passavano alla corte inglese o per le sue prigioni. La rivolta di William Wallace (1270-1305) si colloca in questo vuoto di potere dall’alto: non soltanto Wallace riuscì ad ottenere successi militari rilevanti, ma le sue azioni convinsero Robert Bruce, allora solo un pretendente al trono, a guidare il fronte della resistenza al Plantageneto. Alla morte di Wallace seguirono anni di egemonia inglese, che fu però sfidata nella battaglia di Bannockburn (1314): la sorprendente vittoria scozzese sancì la fine dei tentativi di conquista militare di Edimburgo e l’ascesa al trono di Robert Bruce, celebrato tutt’oggi come un eroe nazionale accanto a Wallace.
Nel 1320 fu redatta la Dichiarazione di Arbroath, nella quale si proclamava ufficialmente l’indipendenza del regno scozzese da quello inglese e veniva sancita l’importanza del supporto “dal basso” per il sovrano. Nel 1328 Edoardo III Plantageneto riconobbe la Dichiarazione.
Dopo la fine della Guerra delle Due Rose in Inghilterra, Giacomo IV Steward (1488-1513) strinse un accordo di pace con Enrico VII Tudor, sposando una delle sue figlie. Tale avvicinamento tra i due regni ebbe conseguenze profondissime quando Enrico VIII si allontanò dalla Chiesa Romana per fondare quella Anglicana: le Lowlands scozzesi erano cattoliche e la famiglia reale decise di non appoggiare la decisione inglese, iniziando così una nuova stagione di tensioni per via dei molti complotti (veri o presunti) orditi per eliminare il sovrano rivale e far trionfare la “vera fede”.
A metà ‘500 il protestantesimo arrivò in Scozia con il predicatore John Knox e minacciò di gettare le Lowlands in una guerra civile in un momento estremamente fragile per la corona: il riconoscimento delle nuove dottrine costò la storica alleanza con la cattolica Francia ma permise agli Steward (poi Stuart) di mantenere il potere. Mary Stuart (1542-1587) è forse il simbolo della tragedia scozzese: costretta all’esilio in Francia fin da bambina per via dei tumulti religiosi in patria, quando poté ritornarvi le forze riformatrici erano ormai troppo potenti per poter essere contrastate; a sud, la morte di Mary Tudor aveva posto fine al sogno di rivalsa cattolica in Inghilterra ed Elisabetta I sembrava intenzionata ad appoggiare la riforma scozzese. Fu proprio alla sua corte che Mary Stuart riparò per sfuggire alle ingerenze in patria, abdicando in favore del figlio Giacomo VI, ma qui trovò la morte dopo essere stata accusata di tramare con i cattolici per uccidere Elisabetta.
Nel 1586, poco prima dell’esecuzione di Mary, Giacomo ed Elisabetta sottoscrissero il Trattato di Berwick, rinnovando l’amicizia tra i due regni e indicando lo Stuart come maggiore candidato alla successione inglese in caso di vuoto di potere. Nel 1603 il Trattato divenne realtà.
Tra l’unione formale dei due regni e l’unione giuridica dovette passare più di un secolo e due rivoluzioni: il tentativo di un’unione politica pacifica voluta da Giacomo cadde nel vuoto con la nomina del fratello Carlo. Alla vigilia della Prima Rivoluzione Inglese, questi tentò una riforma religiosa in Scozia che trovò un’opposizione decisiva nelle Lowlands, sebbene le Highlands rimanessero più fedeli alla corona. Tali differenze si rispecchiarono nelle due Rivoluzioni Inglesi: nel 1648, Carlo I fu fatto prigioniero dai suoi sudditi scozzesi e consegnato ad Oliver Cromwell. La messa a morte del sovrano scosse persino i repubblicani: il Parlamento scozzese, infatti, non aveva mai pronunciato la destituzione del re, rendendo la sua morte un regicidio.
Il Protettorato di Cromwell fu in grado di piegare sia le resistenze irlandesi che quelle scozzesi, ottenendo un’unificazione de facto, e lasciando il Lord Protettore libero di combattere le Provincie Unite nel continente. Tuttavia, il Commonwealth d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, venne meno poco dopo la sua morte (1658).
La Seconda Rivoluzione Inglese (1689) vide la fine del potere Stuart in Inghilterra ma non la fine della sua influenza in Scozia: l’esiliato Giacomo II iniziò a raccogliere numerosi sostenitori (chiamati “giacobini”) nelle Highlands, accresciuti con l’ascesa di Guglielmo d’Orange come re d’Inghilterra. L’assenza di eredi diretti, portò Anna Stuart (figlia di Giacomo II) al trono ed è nel suo regno che si delineano due eventi chiave della storia politica scozzese: dapprima vi fu il disastroso sforzo colonialista nel Golfo di Darién (1698-1700), e successivamente l’approvazione dell’Act of Union (1707) in forza del quale la Scozia entrava a far parte della Gran Bretagna, cessando la propria indipendenza politica e raggiungendo l’unione delle corone.
We are an Independent Nation: temi e problematiche di un’idea
I Giacobini: sostenitori dell’esiliato Giacomo II, si diffusero (o ripararono) grandemente nelle Highlands sotto la protezione di grandi clan locali. La sopravvivenza e proliferazione di entrambi era dovuta alla scarsa presenza dello Stato in quelle regioni: a partire dalla fine del Medioevo, il nord del Paese rimase sostanzialmente tagliato fuori dai grandi lavori di urbanizzazione e bonifica e mantenne molte delle sue istituzioni ancestrali. Il potere dei clan era la legge e la loro forza, se unificati sotto un’unica causa, avrebbe potuto mettere in grave pericolo la corona scozzese. La sconfitta dei giacobini andò di pari passo con la fine del potere dei clan, iniziando una unificazione di un Paese storicamente frammentato.
Il Massacro di Glencoe: tentando una rapida soluzione alla minaccia giacobina nel nord, Guglielmo d’Orange promise un’amnistia generale per tutti i rivoltosi che entro il primo giorno del 1692 avrebbero giurato fedeltà. Una mossa dettata dallo sbarco, nel 1689, di Giacomo II in Scozia. Protagonisti della tragedia furono due clan: i MacIan e i Campbell. I primi erano apertamente giacobini ma si convinsero a prestare giuramento al nuovo sovrano, sebbene con sei giorni di ritardo; i secondi erano uno dei clan più potenti e con stretti legami con Londra. Quando i MacIan ottennero ospitalità- mentre di passaggio- nel territorio dei Campbell, questi ultimi li assassinarono su ordine della corona inglese. Il codice sociale vigente tra i clan prevedeva la sacralità degli ospiti e delle loro dimore, a prescindere dagli schieramenti politici, ed il Massacro di Glencoe ne costituì un gravissimo tradimento, radicalizzando la lotta interna e la causa giacobina. L’evento, ancora oggi ricordato in Scozia, è testimonianza ulteriore della natura estremamente frammentaria della regione e del forte ascendente inglese nelle aree storicamente più ostili.
Lo Schema di Darien: nell’età dei grandi imperi, anche la Scozia volle cercar fortuna oltreoceano nel tentativo di svincolarsi dalla dipendenza economica con Londra. Il territorio scelto per l’operazione coloniale, nell’attuale Panama, era sostanzialmente ancora disabitato ma ufficialmente parte dell’impero spagnolo: in quel tempo, l’Inghilterra fronteggiava la Francia di Luigi XIV per evitare che il trono vacante spagnolo cadesse nelle mani francesi (Guerra di Successione Spagnola, 1701-1714). Una tale congiuntura politica decretò la rovina della spedizione scozzese: più di 3500 coloni scozzesi perirono per mancanza di rifornimenti e protezione dalle navi inglesi, rimanendo così in balia dei nativi, dei pirati, dei coloni spagnoli e delle malattie tropicali. Ad Edimburgo si parlò di tradimento inglese ma i debiti contratti per avviare l’operazione impedirono qualsiasi rivalsa: la Scozia si trovò non solo screditata internazionalmente, ma sull’orlo della bancarotta. Molti ritengono che il disastro di Darién costrinse il Paese riconsiderare l’unione con Londra.
L’Atto di Unione: dopo aver ottenuto rassicurazioni circa il mantenimento dell’ordine presbiteriano nel Paese, il Parlamento scozzese iniziò il dibattito circa la possibile annessione all’Inghilterra. Il dibattito attrasse le migliori menti dell’epoca e fu segnato da ragioni economiche: un’unione con gli inglesi avrebbe aperto l’accesso ai porti commerciali nordamericani, concesso terre da colonizzare in Irlanda e nel Nuovo Mondo, riorganizzato le forze scozzesi in chiave anti-giacobina e avrebbe inoltre permesso a Londra di farsi carico di parte del suo debito pubblico.
Data la presenza di una sovrana scozzese al trono (Anna Stuart), la critica situazione finanziaria ed interna,e visto il rischio di essere tagliati fuori dalla rivoluzione economica e militare europea, il Parlamento di Edimburgo finì per l’approvare l’Atto di Unione. A partire dal maggio 1707 venne istituito il Regno Unito di Gran Bretagna, avente come unico parlamento quello di Westminster (con una limitata rappresentanza scozzese), un’unica corona, un solo esercito e una sola bandiera (la Union Jack).
Battaglia di Culloden: maggiore nel numero e nella forza militare, Londra decise di porre fine una volta per tutte alla minaccia giacobina nel nord della Scozia e al potere dei clan: nel 1746, presso Culloden, le forze giacobine furono sbaragliate dal nuovo esercito regolare britannico, distruggendo il sogno di una restaurazione Stuart e l’influenza dei clan ribelli nelle Highlands. Dopo quasi un millennio dalla nascita di Alba, il potere dello Stato riusciva ad entrare nella Scozia settentrionale.
La tradizione scozzese ricorda lo scontro come impari: profondamente influenzato dall’immaginario romantico dell’800, Culloden è spesso dipinto come lo scontro tra un esercito professionale e un manipolo di clan armati di sole baionette e cornamuse. Recenti studi tendono a ridimensionare il numero e la forza dei giacobini, ponendoli verso una relativa parità con le forze regolari. La battaglia, inoltre, è vista nelle Highlands come una spedizione di conquista da parte di Londra, dopo la quale alla regione fu imposta una lunga presenza militare e una riforma culturale; d’altro canto, scozzesi delle Lowlands e inglesi videro la vittoria come la fine di una guerra civile imperversante da più di cinquant’anni, estremamente pericolosa per il neonato regno.
Scotsmen we are for Wallace bled: cosa vuol dire essere scozzesi?
Il celebre poeta scozzese Robert Burns (1759-1796) scrisse, all’interno della poesia Scots Wha Hae (1793), «Scots, wha hae wi’ Wallace bled», traducibile con “Siamo scozzesi perché Wallace sanguinò”. Grande attenzione fu posta alla lotta medievale contro i Plantageneti e alle figure di Wallace e Robert Bruce, iniziando così una visione unitaria del Paese che però trova poco riscontro nella storia del regno.
Abbiamo visto la genesi e la fine drammatica dell’isolamento delle Highlands, la grande influenza anglo-normanna nel regno e l’ascesa di figure con origine straniera (Robert Bruce) elevati come modelli nazionalisti scozzesi. La divisione interna della Scozia si acuì con le riforme religiose e le lotte giacobine, entrambe risolte solo con l’intervento inglese.
Gli scozzesi del XVIII secolo si riconoscevano maggiormente nella cultura e nelle istituzioni inglesi e guardavano con sospetto e terrore agli highlanders, ritenuti alla stregua uomini selvaggi aventi lingua, religione, istituzioni, e leggi differenti. Quando Burns scriveva, dunque, si riferiva principalmente alle genti delle Lowlands, eternamente in conflitto con i vicini inglesi, e poco considerava i membri dei clan del nord.
Il Romanticismo Ottocentesco tentò di riabilitare la figura dell’highlander elevandolo a simbolo della resistenza nazionale alle mire espansionistiche inglesi e archetipo dello scozzese ideale. Lo stereotipo familiare a tutti, infatti, è ancora fortemente influenzato fa questo filtro: lo scozzese con folta barba, con abiti “tradizionali” quali il Kilt (di invenzione inglese!), sfoggiante sul proprio tartan i colori del clan d’appartenenza, un forte accento, armato di un fucile e di spada corta o di cornamusa. Risulta ora palese come questa visione sia non solo viziata da un filtro moderno ma che inoltre non corrisponda alla verità storica e al senso di appartenenza di metà del Paese: il famoso filosofo David Hume avrebbe rabbrividito all’idea di essere associato all’immagine di un highlander…
Dove nasce dunque questo sentimento scozzese? Dalla lunga contrapposizione con il vicino inglese. Sebbene divisa per lungo tempo, la Scozia intera dovette affrontare una minaccia militare (e culturale) inglese e ogni parte del Paese rispose a modo suo. Su questo elemento comune, nel corso dei secoli, il nazionalismo scozzese ha tentato di costruire un’identità nazionale: dapprima escludendo le Highlands e le isole per essere troppo poco “scozzesi” e successivamente annettendole con la forza militare, arrivando infine ad elevarle come simbolo nazionale.
Chi scrive non vuole suggerire che non esista un’identità scozzese, vorrebbe solamente sottolineare come gran parte della storia nazionale e culturale sia in aperto contrasto con la propaganda nazionalista contemporanea: fu la costante minaccia a sud a spingere i Pitti a ricercare un’alleanza con gli Scoti nel tentativo di non essere conquistati; allo stesso modo la Scozia Medevale e Moderna non poté fare a meno della presenza inglese per poter risolvere disordini interni. Nel 1603, con l’ascesa al trono inglese degli Stuart furono gli inglesi a temere il potere scozzese!
Dopo più di tre secoli di unione politica ed economica, innumerevoli conflitti armati combattuti spalla a spalla, la costruzione di un impero e di un sentimento britannico, è facile immaginare che un’indipendenza politica scozzese potrebbe significare la fine del Regno Unito di Gran Bretagna nato nel 1707. D’altro canto, va notato anche che la Scozia unita non sia mai stata indipendente. L’esperimento politico di una Scozia nell’UE e indipendente da Londra aprirebbe nuovi scenari nella storia delle relazioni tra le due Nazioni.
Ai contemporanei rimane un complesso quesito: Rule Britannia o Alba gu Brath?