Any Day Now: quando l’amore (non) basta
Dopo il mese del Pride e le discussioni apertamente omolesbotransfobiche di questi giorni che si stanno susseguendo al Senato, la nostra rubrica dedicata al cinema non poteva non dare spazio a un film con tematiche LGBTQIA+. Benché il tema non sia direttamente collegato ai passaggi chiave del DDL Zan, la pellicola in questione mette in luce quanto le dinamiche di potere e le relative discriminazioni possano distruggere la vita delle minoranze.
Any Day Now è un film del 2012 di Trevis Fine, tratto da una storia vera ambientata negli Stati Uniti degli anni Settanta. I protagonisti della vicenda sono Rudy Donatello (Alan Cumming) e Paul Fliger (Garret Dillahaunt), i quali si ritrovano coinvolti in una storia d’amore a dir poco complessa, complice il difficile contesto socioculturale di quegli anni. Infatti, mentre Rudy conduce una vita precaria lavorando come drag queen in un locale gay, Paul è un procuratore che per tutta la vita ha nascosto il proprio orientamento sessuale per paura di ritorsioni sul posto di lavoro. La loro vita cambierà profondamente quando Rudy accoglierà in casa sua Marco (Isaac Leyva), un bambino affetto da sindrome di Down e abbandonato dalla propria madre dopo essere stata arrestata per possesso di droga.
A seguito di un accordo di custodia temporanea, la coppia e il piccolo Marco inizieranno a convivere, costruendo pezzo per pezzo la loro famiglia tutt’altro che “tradizionale,” ma non per questo priva di amore. Il film mostra come Marco diventi sempre più felice nel nuovo contesto familiare, tanto da commuoversi dinnanzi alla sua nuova, accogliente cameretta e mostrando alla sua insegnante un disegno che ritrae i suoi due nuovi papà. Purtroppo, questo idillio giungerà al termine quando verrà alla luce la vera natura del rapporto tra i due (ufficialmente cugini) e la madre biologica, Marianna, verrà rilasciata. A poco serviranno i ricorsi giudiziari: la donna riotterrà facilmente la custodia di suo figlio, a dispetto dei trascorsi e delle condizioni di degrado in cui il figlio era costretto a vivere.
Il finale, a dir poco drammatico, vede Marco alla ricerca di quelli che considera ormai a tutti gli effetti i suoi genitori; “casa” è per lui il nido d’amore costruito in quasi un anno di convivenza con Paul e Rudy, con cui si è formato un legame indissolubile che, tuttavia, è stato spezzato da una società omofoba in cui, purtroppo, l’amore non sempre è sufficiente. Tema centrale del film è dunque l’omogenitorialità, nonché le sfide su più fronti che le minoranze devono affrontare: Rudy deve lasciare il suo lavoro di drag queen se vuole essere preso sul serio come genitore ed essere umano, Marco non viene interpellato circa il suo destino e i suoi desideri a causa della sua disabilità, mentre Paul deve scegliere tra il lavoro con cui ambisce a cambiare il mondo oppure la resa verso quelle stesse logiche che vuole ardentemente combattere.
“Per fortuna i neri hanno avuto il Dottor King piuttosto che te.” (Rudy a Paul)
Del resto, non è un caso che la coppia si rivolga a un avvocato nero che possa comprendere la sofferenza psicologica di vivere in una costante posizione di subalternità nei confronti di una società che discrimina chiunque devi da quella che è considerata la “normalità.” In più, facendo un paragone tra quello che è il contesto degli anni Settanta e quello di oggi, appare sconsolante realizzare quanto le stesse battaglie combattute da Rudy e Paul siano ancora tutt’altro che concluse, dal momento che le coppie omogenitoriali sono ancora fortemente osteggiate e stigmatizzate.
Any Day Now è un film che va visto per comprendere quante persone soffrano nel silenzio e per capire quanto ancora occorra lottare per i più deboli. Difficilmente si può rimanere indifferenti a una storia in cui, purtroppo, il finale – amaro – non potrà che farvi riflettere su più livelli.