Corridoi umanitari: frontiera di accoglienza e integrazione
I corridoi umanitari furono istituzionalizzati nel dicembre 2015 dopo la firma di un protocollo d’intesa tra Ministeri degli Interni e degli Esteri, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche italiane e la Tavola Valdese per assicurare un canale di ingresso sicuro e legale ai rifugiati riducendo il numero di morti in mare, contrastando il traffico di esseri umani e fornendo un’adeguata assistenza ai profughi.
Questa iniziativa è legata all’attuazione dell’Agenda europea sulla migrazione che invita gli Stati membri UE ad attivare tutti i canali di cui dispongono per la protezione di profughi e rifugiati ponendo un freno alle numerose tragedie consumate nelle acque del Mediterraneo e connettendosi all’art25 del Regolamento n.810/ 2009 CE circa il rilascio di visti a territorialità limitata “per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”.
Con la Comunicazione del 6 Aprile 2016 della Commissione Europea dal titolo “Riformare il sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa” si confermò la necessità e l’urgenza di vie legali di accesso alle safe areas europee. Nel 2015 venne istituito il primo corridoio umanitario con il trasferimento di 1.035 rifugiati siriani dal Libano; nel 2017 dal Corno d’Africa vennero trasferiti 498 rifugiati e sempre in quell’anno venne attivato un terzo corridoio dal Libano trasferendo 595 rifugiati siriani. In questi anni i corridoi umanitari hanno continuato a rivelarsi efficaci tanto che anche qualche giorno fa sono arrivati da Lesbo 34 profughi appartenenti a 13 nazionalità diverse. Dal momento della loro attivazione ad oggi, i corridoi umanitari hanno dato un porto sicuro e legale a più di 3.700 persone in Italia, Andorra, Belgio e Francia. Tutto ciò è finanziato con i fondi dell’8×1000 degli enti citati inizialmente e da donazioni private.
I principali sostenitori
Tra i principali promotori di corridoi umanitari, oltre ai Ministeri degli Esteri e degli Interni, spiccano la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche, la Tavola Valdese, la CEI e la Caritas che forniscono alloggio e assistenza economica fino all’ottenimento di protezione internazionale. I promotori di questa iniziativa sono sostenuti da altre organizzazioni sia nei Paesi da cui partono i corridoi umanitari sia in quelli in cui si presenta richiesta di protezione internazionale: Associazione Papa Giovanni XXIII, il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, i Salesiani per il sociale, il Centro Nazionale Opere Salesiane ed altre associazioni locali.
Come funzionano i corridoi umanitari?
In primis vengono raccolte le varie richieste a cui poi seguono interviste con gli interessati, viene poi predisposta una lista di potenziali beneficiari su segnalazione di ONG, organismi internazionali, ecc. che operano nel Paese coinvolto nel progetto. Si passa poi ad una meticolosa verifica di ogni segnalazione ad opera dei responsabili delle associazioni che poi viene inviata al MININT per un ulteriore controllo. Una volta vagliate le segnalazioni, le liste dei potenziali beneficiari vengono inviate alle autorità consolari italiane nei Paesi interessati a cui spetta il rilascio di visti umanitari con validità territoriale. Segue l’organizzazione di voli, corsi di lingua e visite mediche.
Infine c’è l’arrivo a destinazione: i profughi vengono accolti e ospitati secondo il metodo dell’accoglienza diffusa in cui sono offerti loro vari orizzonti di integrazione tramite l’apprendimento della lingua italiana, accesso al SSN, istruzione ed altre iniziative di inclusione sociale.
Il progetto pilota dei corridoi umanitari è motivo di vanto per l’Italia e per i suoi sostenitori che nel 2019 gli valse il Premio Nansen, istituito nel 1954. Ad oggi l’operazione è un successo e un modello da implementare ulteriormente anche negli altri Paesi UE, anche se non mancano, tuttavia, ombre su quest’azione umanitaria: la selezione di soggetti in condizioni di vulnerabilità, infatti, non è affatto facile poiché il numero di beneficiari è molto ridotto rispetto a quello di quanti ne avrebbero effettivamente bisogno; inoltre il fatto che non tutti i Paesi di transito adottino questa iniziativa o che in alcuni di essi non vi sia rappresentanza diplomatica italiana ne riduce il grado di sviluppo, considerati anche i costi elevati. È necessario un maggiore coinvolgimento dei vari Stati europei con una partnership più solida tra istituzioni pubbliche, religiose e settore privato affinché possa essere messa in campo un’iniziativa più umana- e più efficiente- che spinga verso una maggiore integrazione anziché lasciare migliaia di persone in balia di un futuro difficile e incerto.