Cos’è l’Effetto Lucifero?
Immaginate di svegliarvi come ogni mattina, alzarvi dal letto, preparare la caffettiera e la tavola per la colazione. Doccia veloce e via, vestiti per andare in Università. Suonano alla porta, ma vi sembra strano: è mattina e non aspettate visite. Quando andate ad aprire vi trovate davanti un agente di polizia, che vi fa uscire, tenere le mani ben in vista e poi vi arresta. Ammanettati, siete fatti salire in macchina: ormai le luci delle sirene e la confusione hanno richiamato i vicini di casa, che si affacciano curiosi dalla finestra, domandandosi che cosa stia succedendo. Ovvio, voi sapete di essere innocenti, ma gli altri no: che cosa starà pensando la signora gentile del secondo piano, a cui avete portato più di una volta la spesa su per le scale? La volante inizia a muoversi, vi porta in un posto che assomiglia alla centrale, dove siete fatti scendere e cambiare. I vostri vestiti spariscono, rimane solo una brutta divisa e un numero seriale che vi identifica. Non solo voi, ma anche gli altri undici ragazzi che piano piano riempiono le stanze. Altri dodici ragazzi hanno la divisa da guardie carcerarie, accompagnata da un brutto manganello. Lavori faticosi e umiliazioni si susseguono, più volte di notte venite svegliati. Dopo sole trentasei ore, il ragazzo nella cella alla tua destra scoppia a piangere, tenendosi la testa fra le mani. Un crollo mentale, fisico ed emotivo. Altri ragazzi lo seguono. Dopo appena sei giorni venite tutti fatti uscire dalle celle e rimandati a casa. Grazie mille per aver partecipato all’esperimento.
The Stanford Prison Experiment
La situazione appena immaginata è solo una descrizione romanzata di ciò che è effettivamente accaduto all’Università di Stanford nel 1971. L’esperimento, chiamato Stanford Prison Experiment (SPE), era guidato dallo psicologo statunitense Philip Zimbardo ed i suoi risultati, nonché le sue contraddizioni, hanno scritto una pagina importante della psicologia sociale.
Zimbardo, nel disegnare il suo esperimento, partì dalla considerazione che non esistono quelle che vengono definite “mele marce”: ad essere marcio è tutto il cesto. In altre parole, cattivi si diventa. E non è solo la situazione, ma l’intero sistema che lo permette.
Ventiquattro studenti universitari, maschi, vennero reclutati per partecipare all’esperimento, tra i più di settanta che fecero domanda. La selezione tenne conto anche dei risultati di test sulla personalità: solo i ragazzi più equilibrati e meno inclini a comportamenti devianti vennero scelti. A metà di loro venne assegnato il ruolo delle “guardie”, mentre l’altra metà avrebbe dovuto ricoprire quello dei “detenuti”. Lo stesso Zimbardo partecipò in prima persona, come direttore del carcere.
I risultati furono sconcertanti: l’esperimento, che sarebbe dovuto durare due settimane, fu fermato dopo appena sei giorni, a causa dei crolli emotivi dei “detenuti” e degli abusi perpetrati dalle “guardie”, umilianti e molto spesso di natura sessuale. Fu necessario, tuttavia, l’intervento esterno di colei che sarebbe poi diventata la moglie di Zimbardo per mettere un punto definitivo all’esperimento. Fu Christina Maslach, infatti, a far ragionare Zimbardo e a convincerlo a fermare il tutto, tant’era assorbito anch’egli dal suo ruolo: «It is terrible what you are doing to those boys», gli disse.
Il cesto marcio
L’esperimento di Zimbardo, che, va ricordato, è stato duramente criticato nell’ambiente accademico, ha messo in luce quello che prende il nome di “Effetto Lucifero”, ovvero come e perché individui e gruppi, che solitamente agiscono in una certa maniera, possono a volte agire diversamente, a seconda delle circostanze. Nel 2003, i risultati dello SPE e gli studi sull’ “Effetto Lucifero” ritrovarono nuova visibilità a causa dei fatti tristemente noti della prigione di Abu Ghraib in Iraq, dove soldati americani avrebbero vessato per mesi i prigionieri iracheni. La risposta dell’amministrazione Bush fu naturalmente quella di indicare quei soldati come delle “mele marce”, da eradicare dall’esercito. Quello che però l’esperimento di Zimbardo suggerisce, invece, è la necessità di contestualizzare le suddette “mele marce”: non in una riduzione di responsabilità, ma in un’analisi che tenga conto di come il sistema sia altrettanto colpevole degli individui.
Un fallimento di leadership, un albero che avvelena le sue mele, dando potere senza fornire al contempo il controllo necessario affinché non si venga fagocitati in una spirale dove tutto sembra permesso. E se è sempre e solo l’individuo ad essere ritenuto il vero responsabile, mentre il sistema che ha reso possibile la violenza non viene mai imputato, allora cosa possiamo aspettarci se non un’altra Abu Ghraib?