Il disastro ambientale in Sri Lanka
La nave cargo che pochi fino a pochi giorni fa bruciava nell’Oceano Indiano rappresenta oggi uno dei disastri ambientali peggiori della storia dello Sri Lanka.
Cosa è successo?
Il 20 maggio la nave cargo MV X-Press Pearl si trovava a largo delle coste singalesi, a poche miglia dalla capitale del Paese (Colombo), in attesa di entrare in porto, quando un incendio scoppiato a bordo ha dato inizio al disastro che ha portato all’affondamento dell’imbarcazione.
L’equipaggio, prima di arrivare nei pressi dello Sri Lanka, aveva già richiesto un attracco di emergenza in Qatar e in India, ma gli era stata negata assistenza per impossibilità di agire. Probabilmente, l’incendio andava avanti già da 9 giorni.
L’imbarcazione portava con sé diverse sostanze pericolose, in particolare: 25 tonnellate di acido nitrico, idrossido di sodio e altri componenti chimici pericolosi; 28 container di materiali grezzi utilizzati per la produzione di buste di plastica; più di 300 tonnellate di carburante contenute nei serbatoi. Secondo la Marina singalese l’incidente sarebbe stato causato proprio da queste sostanze chimiche presenti a bordo, nello specifico per una perdita di acido nitrico.
Nonostante il pronto intervento, è stato impossibile evitare che si riversassero in acqua tonnellate di carburante e microplastiche. L’equipaggio, composto da 25 persone, è stato immediatamente evacuato, ma ciò che ha reso tanto complicata l’operazione di spegnimento dell’incendio è stata la presenza di forti venti monsonici che, data l’elevata infiammabilità del carico a bordo, ha causato ulteriori piccole esplosioni.
Una situazione critica
Dal giorno dell’incidente la nave è stata ancorata a 17 chilometri (9 miglia nautiche) dal porto di Kepungoda, una cittadina distante 21 chilometri da Colombo molto rinomata nel settore turistico che vanta, infatti, una delle spiagge più belle del Paese, o almeno così era prima di questa tragedia ambientale.
Dopo 12 giorni di incendio, il 3 giugno, la poppa della nave è affondata e si è poggiata sul fondale marino, rendendo vani anche i vari tentativi effettuati dalle squadre di soccorso di rimorchiare l’imbarcazione per evitare danni peggiori e di mettere in atto le operazioni di drenaggio del combustile.
Le conseguenze ambientali
Parlare di timore di un possibile disastro ambientale sarebbe un eufemismo, perché il disastro è già in corso.
Già dal 2 giugno il governo di Colombo ha mobilitato l’esercito per le prime operazione di pulizia e tutela delle spiagge, su cui iniziano a riversarsi microplastiche, detriti bruciati e rifiuti pericolosi. L’incidente ha causato, inoltre, lo sversamento in mare di molte tonnellate di pellet di polietilene, microparticelle plastiche ingeribili dai pesci. La pericolosità della faccenda ha già portato al divieto di pesca lungo gli 80 chilometri di costa compromessi. Queste particelle, infatti, vengono utilizzate per la produzione di sacchetti di plastica e non sono, ovviamente, biodegradabili, ciò significa che resteranno per sempre nell’ambiente marino, danneggiandolo irreparabilmente.
Secondo gli studi del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), l’acido nitrico fuoriuscito dalla nave dovrebbe essersi già dissolto in acqua. La paura più grande risiede nella possibile fuoriuscita di grandi quantità di carburante dal serbatoio, uno dei più economici e inquinanti esistenti.
In generale, i prodotti dispersi in mare hanno già causato ingenti danni alla qualità dell’acqua, ormai contaminata, e ad animali e piante, tra cui soprattutto pesci, coralli e mangrovie. Secondo gli esperti, le spiagge potranno essere effettivamente ripulite tra diverse settimane o addirittura mesi.
Nel frattempo, il capitano della nave è stato fermato e bloccato all’interno del Paese; si valuta un’azione legale nei confronti dei proprietari dell’imbarcazione e dello stesso capitano per richiedere un risarcimento dei danni subiti.