Il processo di adesione all’UE e la lista di attesa
Per un Paese che se ne è appena andato ve ne sono almeno altri sette che attendono l’ingresso nell’Unione europea. Il “sogno europeo” evidentemente fa ancora gola a molti Stati del vecchio continente, ma come si snoda concretamente il processo di adesione? L’accesso all’UE prevede un percorso piuttosto lungo e complesso che si articola in varie fasi intermedie. Ad oggi gli Stati candidati sono Turchia, Albania, Montenegro, Serbia e Macedonia del Nord seguiti da Bosnia-Erzegovina e Kosovo (candidati potenziali ma non ancora ufficiali).
Le fasi del processo di adesione
Secondo quanto sancito dall’articolo 49 del TUE (Trattato sull’Unione europea) ogni Paese che intenda aderire all’UE deve innanzitutto sottoporre la sua candidatura al Consiglio, il quale si rivolge poi alla Commissione europea, istituzione preposta alla valutazione dei requisiti essenziali all’adesione (i cosiddetti “criteri di Copenaghen”). Essi si riferiscono ad alcuni dei pilastri dell’Unione, come il rispetto dell’economia di mercato e dello Stato di diritto, la stabilità della democrazia ed infine, l’adeguamento all’acquis communautaire (legislazione europea).
Se la Commissione adotta un parere positivo, il Consiglio può allora conferire ufficialmente lo status di “Pase candidato” allo Stato richiedente e procedere quindi con un mandato di negoziazione, settore per settore. I negoziati inaugurano il periodo di preadesione, fase particolarmente delicata del processo durante la quale i Paesi candidati beneficiano di aiuti a livello finanziario, amministrativo e tecnico. Tra questi vi è l’IPA, strumento di preadesione messo a punto dall’UE nel 2007 e ad oggi principale misura di sostegno alla transizione europea, specialmente negli ambiti relativi al rafforzamento delle istituzioni, allo sviluppo regionale e rurale, alla cooperazione transfrontaliera e alla valorizzazione delle risorse umane.
Una volta conclusi i negoziati viene stilato un trattato di adesione. Approvato all’unanimità dal Consiglio e poi dal Parlamento, esso entra in vigore dopo la ratifica di ciascuno Stato membro e del Paese candidato, in conformità con le rispettive procedure costituzionali.
A che punto sono i Paesi candidati?
Al momento solo Montenegro e Serbia sembrerebbero dimostrare uno stato di avanzamento nelle negoziazioni tale da renderli prossimi all’ingresso. I due Stati dell’ex Jugoslavia hanno acquisito lo status rispettivamente nel 2010 e 2012 e sono i soli ad aver aperto più della metà dei capitoli relativi all’adattamento all’acquis comunitario e contestualmente ad aver avviato i primi colloqui di adesione.
Macedonia del Nord e Albania invece, pur avendo anch’essi già guadagnato lo status da qualche anno (nel 2005 e nel 2014), non hanno ancora inaugurato la fase negoziale. La Macedonia, in particolare, sembrerebbe maggiormente titubante e timorosa rispetto ad alcune questioni chiave quali l’identità e la lingua, punti sui quali il governo non intenderebbe assolutamente trattare con l’Europa.
La situazione appare più complicata per la Turchia. Il rapporto difficile tra lo Stato asiatico e l’Unione si trascina all’interno (ma anche al di fuori) delle sedi diplomatiche da ormai più di cinquant’anni, o meglio da quando, nel 1963, la Turchia è divenuta membro associato dell’allora Comunità economica europea (CEE). Il riconoscimento ufficiale come Stato candidato all’adesione risale al 1999 (la domanda era stata presentata nel 1989), le prime negoziazioni hanno invece avuto inizio nel 2005 e da allora si registrano perlopiù deboli progressi intervallati da frequenti battute d’arresto.
Il recente incidente internazionale tra la Presidente della Commissione von der Leyen e il Presidente Erdogan (“sofa-gate”) ma soprattutto il passo indietro turco rispetto alla Convenzione di Istanbul sulla lotta alla violenza domestica e contro le donne, rappresentano solo gli ultimi sviluppi di una relazione fragile tra due realtà geopolitiche ancora troppo distanti; basti semplicemente pensare che il governo Erdogan è seriamente intenzionato a reintrodurre la pena di morte dopo averla abolita totalmente solo nel 2004, dietro le pressanti sollecitazioni da parte dell’Unione europea.
Al momento solo 16 dei 35 capitoli sui singoli temi riguardanti l’adesione sono stati aperti e solo uno è stato chiuso. In seguito al colpo di stato del 15 luglio 2016 i negoziati sono stati di fatto interrotti e da allora nessun nuovo capitolo è stato aperto né tantomeno parrebbero ravvisarsene le intenzioni.
Entrare a far parte dell’UE (così come abbandonarla) richiede il rispetto di condizioni e parametri stringenti che spesso condannano molti aspiranti nuovi membri ad anni di attesa e negoziazioni. Quello dell’Unione europea è un controllo ferreo che tuttavia spesso si ferma sulla porta d’ingresso. Essere ammessi al “club europeo” comporta l’esibizione di molteplici requisiti che sembrerebbero però passare in secondo piano una volta messo piede dentro l’istituzione, vista la tendenza ad allentare i controlli su alcuni requisiti (seppur essenziali) con risultati a volte grossolani e imbarazzanti. Chiediamoci una cosa: se Polonia e Ungheria presentassero oggi la richiesta di adesione all’Unione europea, cosa gli verrebbe risposto?