Ellis Island: l’esempio dimenticato della storia delle migrazioni
Edmondo De Amicis, nella poesia “Gli emigranti” scriveva «[…] Ammonticchiati là come giumenti/ sulla gelida prua morsa dai venti, / migrano a terre inospiti e lontane;/ laceri e macilenti, / varcano i mari per cercar del pane. […]»
Il filo della storia delle migrazioni che lega l’Italia (e l’Europa) agli Stati Uniti passa inevitabilmente per due isole: Lampedusa ed Ellis Island. Più recenti quelle dell’isola siciliana, meno note o forse dimenticate, le vicende di Ellis Island, non proprio recenti, ma simbolo indelebile della storia delle migrazioni mondiali. L’isola newyorkese è stata una pietra miliare per ciò che concerne le migrazioni europee: si stima che tra il 1870 e l’inizio del ‘900, milioni di europei si trasferirono negli Usa, passando proprio dalle sue sponde.
Hope and tears
Ellis Island è un’isoletta nella baia di New York, alla foce del fiume Hudson, e terra di primo approdo per tutti gli immigrati che tra fine ‘800 e inizio ‘900 giungevano in America per realizzare l’american dream. L’isola deve il nome al suo proprietario, Samuel Ellis, che l’acquistò nel 1785 per poi, alla sua morte, essere ceduta allo stato di New York che vi costruì un forte per difendere la baia dagli attacchi dei pirati. Nel 1892 l’isola venne ceduta ancora una volta al servizio federale per l’immigrazione. Fino ad allora i controlli per la gestione dei migranti venivano effettuati a Manhattan, al Castel Garden.
Tra il 1855 e il 1891, infatti, circa 8 milioni di immigrati erano passati per Castel Garden, spingendo il governo federale a trovare una soluzione alternativa e individuando in Ellis Island il luogo ottimale da utilizzare come check point. Il 1°gennaio 1892, con l’arrivo di 700 migranti, venne inaugurato il nuovo centro costruito sull’isola ma che, già dopo pochi anni necessitava di essere ampliato per adattarsi al crescente numero di immigrati che vi arrivavano. Di questi 700 immigranti, la prima a passare da Ellis Island, fu una ragazza irlandese di 17 anni, Annie Moore, che divenne il simbolo dell’emigrazione tra il XIX e il XX secolo verso il nuovo mondo.
La procedura
Una volta sbarcati, i migranti venivano condotti all’ufficio postale del Main Building per esibire tutti i loro documenti e successivamente venivano sottoposti a visite mediche. Chi era ritenuto idoneo anche alla visita medica era poi sottoposto ad interrogatori circa la propria identità, eventuali conoscenze negli USA ecc. Superato anche questo scoglio venivano trasferiti al “battery” di Manhattan e poi da lì in edifici per l’accoglienza. Coloro che risultavano non idonei venivano rimbarcati e condotti ai porti di provenienza. Così, a causa di questo meccanismo, ben presto Ellis, da “Island of Hope” divenne “Island of Tears”. Secondo i registri ufficiali, si stima però che solo il 2% dei richiedenti asilo sia stato respinto, a causa della precarietà dello stato di salute.
L’evoluzione dei flussi
L’anno in cui la pressione migratoria sulla piccola isola raggiunse il suo picco fu indubbiamente il 1907 con oltre un milione di arrivi. Nel 1924 con il Johnson Immigration Act e con l’Emercency Quota Act si introdussero misure via via sempre più stringenti che posero fine alla politica delle “porte aperte” degli Stati Uniti introducendo rigide quote d’ingresso in base alla nazionalità. Con ciò si pose “fine” alla grande immigrazione del ‘900 americano. Con la seconda guerra mondiale cambiarono i connotati dell’isola che, da “porta d’ingresso” verso il sogno americano, divenne soprattutto centro di arrivo per perseguitati e rifugiati politici. Nel secondo dopo guerra l’emigrazione verso gli USA riprese, ma rimase contenuta. Nel novembre del 1954 la struttura venne chiusa e nel corso del tempo i suoi edifici caddero in rovina. Nel 1990 l’isola venne riaperta al pubblico e il centro di detenzione oggi ospita il famoso Ellis Island National Museum of Immigration.
Lampedusa come Ellis Island
Gli stessi numeri toccati da Ellis nel 1907 si ebbero in Europa solo sei anni fa. Ellis Island ai tempi era la porta di ingresso al “nuovo mondo” così come Lampedusa è una delle principali porte d’ingresso dell’Europa contemporanea. Entrambe island of hope and tears, entrambe terreno di approdo di anime speranzose. Marco Impagliazzo, professore universitario e ricercatore nell’ambito dei flussi migratori contemporanei, suggerisce che “siamo accoglienti se ricordiamo la storia”; ci invita a ricordare che proprio il popolo italiano è stato un popolo di immigrati che ha visto l’esodo di oltre 24 milioni di persone nel corso di tutto il ‘900.
“Ricordati di ricordare”: dovrebbe bastare questa massima per creare il nucleo di una cultura dell’accoglienza troppo spesso imperniata, invece, su inutili stereotipi che generano razzismo. Ellis Island e le storie dei tanti emigrati italiani all’estero ci ricordano l’importanza di una memoria storica che deve produrre sentimenti di tolleranza ed inclusione, purtroppo oggi marginalmente tenuti in considerazione. L’America di allora per gli europei è l’Europa di oggi per molti altri. Quando “ce lo ricorderemo”?