La cancel culture esiste veramente in Italia?
In questo periodo stiamo assistendo sempre più spesso ad alcune “rivolte” linguistiche che hanno coinvolto a volte anche la politica ma francamente, tra tutti gli eventi che hanno interessato i media italiani, discutere di Biancaneve forse poteva essere evitato.
Tutto comincia il 1°maggio, quando su una rivista di recensioni, “SF GATE” appare una considerazione su Biancaneve a Disneyland, in cui si scrive che il bacio dato dal principe azzurro non si può considerare un vero bacio d’amore, perché l’amore dovrebbe essere accompagnato da elementi quali: consenso, coscienza e consapevolezza. L’articola termina dicendo che in un mondo di fiabe in realtà tutto è concesso. Da questo momento in poi l’articolo inizia a spopolare su tutte le testate giornalistiche più importanti, arrivando anche in Italia, in cui si estrapola la notizia (decontestualizzandola) e tirando fuori la questione del politicamente corretto.
C’è chi, affiancando la foto di Biancaneve svenuta e del principe che la bacia alla didascalia “bacio non consensuale”, ha provato a strumentalizzare la questione portandola all’estremo e – si può dire- al ridicolo. Praticamente, per i devastatori del politically correct, questa “notizia” ha assunto una valenza talmente importante da renderli quasi orgogliosi di distruggere una favola per bambini diventata all’improvviso simbolo feroce di violenza di genere.
Una narrazione “incompleta”
Questa presa di posizione, abbracciata anche da parte del panorama politico italiano, diventa dunque ben presto la base di una narrazione politica incentrata su quella che viene chiamata “cancel culture”.
Secondo lo scrittore e insegnante di filosofia Matteo Saudino, in realtà la cancel culture non c’è. O per lo meno, non esiste in Italia. Esiste la discussione: esiste la possibilità di mettere in dubbio, di riflettere, di costruire una narrazione nuova in cui si possa parlare del perché la storia e le fiabe ci vengano raccontate sempre a metà, del perché esistono soltanto eroi e vicende (almeno quelle più rilevanti) legate ad una sola categoria: l’uomo bianco, etero, cristiano. Ma il mondo non è un mondo abitato solo da uomini bianchi, etero, cristiani: ci sono le donne, le persone nere, le persone omosessuali, le persone musulmane ecc… La storia non appartiene anche a loro? Tutte queste discussioni avvengono alla luce della storia che ci è stata insegnata e di quella che è stata trascurata.
A tal proposito, però, spesso e volentieri in Italia è la stessa discussione a mancare, insieme, non a caso, alla riflessione. Ed è così che ci si trova di fronte, sui social, ad espressioni come quella del giornalista Enrico Mentana: «Bisogna avere il coraggio di dirlo: per molti aspetti la cancel culture ricorda i roghi dei libri del nazismo», ha scritto su Instagram il direttore del TG La7.
Parlare del passato: non ci provate!
Come già ribadito molte volte, viviamo in un mondo complesso, che è difficile da comprendere. Provate a dire a chi, per cinquant’anni, ha sempre interpretato la realtà secondo l’unica fedele guida di Geronimo Stilton che in realtà esiste la possibilità di guardare il mondo anche con gli occhi di Gustave Flaubert, Grazia Deledda, Elsa Morante: rimarrà basito. In quel caso però avrà due opzioni: fare orecchie da mercante, quindi far finta che non abbia mai scoperto l’esistenza di nuove categorie letterarie o iniziare a leggere Madame Bovary, Canne al vento e La storia; avrà così conosciuto un mondo che non gli è stato mai narrato e svilupperà un senso critico tale da non ridursi a dire che la sua è l’unica visione possibile.
È un po’ quello che succede quando si parla del passato: ci sono questioni ormai talmente intoccabili su cui è impossibile anche solo mostrare un leggero disappunto, poiché poi inizia a venir giù un temporale di insulti irripetibili. Carlotta Vagnoli, autrice e attivista, afferma su Instagram: «Per quanto ai giornali stia a cuore il clickbait privo di contestualizzazione e veridicità, si dovrebbe andare in profondità – per quanto possibile- nelle analisi di fonti così vetuste. Non si tratta di cancellare fiabe, ma accettare l’incompatibilità di alcune di loro con la contemporaneità, che è ben diverso e apre le porte ad una più profonda consapevolezza sociale e personale».
Non si tratta di cancellare o censurare il passato. Piuttosto sarebbe più proficuo affrontarlo attraverso la discussione, aggiungendo così dei pezzi che ci sono stati sottratti e costruire una narrazione complessa che sia di tutti.