Generazione Z o generazione Expat?
La storia dell’emigrazione italiana all’estero afferma che dall’Unità d’Italia fino agli anni ’70 del ‘900, gli italiani espatriati siano stati circa 27 milioni. Dagli anni ’70 ad oggi la mobilità italiana all’estero non si è arrestata, sono cambiate solo le modalità di viaggio e i tempi, mentre persiste la necessità di voler migliorare le proprie condizioni di vita.
Un po’ di numeri
Tra i primi risultati che compaiono sul web quando vogliamo fare una ricerca sui NEET (Not in Education, Employment or Training), emerge come l’Italia sia prima in Europa per numero di giovani inattivi, toccando i 2 milioni. Quando parliamo di inattività giovanile però, dobbiamo fare distinzioni in base al sesso, alla provenienza e all’area geografica del nostro Paese. L’inattività femminile, infatti, supera anche quella maschile, così come quella dei cittadini stranieri residenti in Italia supera quella degli autoctoni e al Sud la percentuale di NEET è maggiore rispetto al Nord. Alla luce dell’attuale pandemia, viene difficile presagire un miglioramento del tasso di occupazione giovanile. Dati recenti dell’Agensir confermano come, lo scorso marzo, il tasso di disoccupazione tra i giovani sia arrivato al 33%, tra i paesi OCSE siamo secondi alla Spagna e, rispetto allo steso periodo dello scorso anno, vi è stato un forte aumento delle persone in cerca di lavoro.
Negli ultimi anni, come conferma anche il quindicesimo Rapporto Italiani nel Mondo (RIM) edito dalla Fondazione Migrantes, si mette nero su bianco come il brain draindi giovani italiani che espatriano sia un fenomeno ormai costante e fluente. Dal RIM, che non considera il freno della pandemia durato circa 8 mesi, emerge come non espatria solo chi ha ricevuto un’educazione formale, bensì anche chi possiede solamente il diploma. Gli Expat italiani nel 2006 erano più di 3 milioni, al 2020, invece, sono arrivati ad essere circa 5 milioni e mezzo. Nel 2019, 131 mila cittadini hanno lasciato l’Italia per dirigersi verso 186 Paesi nel mondo, il 40% di questi ha un’età compresa tra i 18 e 34 anni. Riguardo la composizione di questo flusso migratorio, è data sia da nuclei familiari con minori al seguito che da giovani da inserire nel mercato del lavoro. Nel rapporto Istat dello scorso gennaio, è emerso come vi sia stato un incremento esponenziale delle partenze dall’Italia verso il Regno Unito, seguito dalla Germania, Francia, Svizzera e Spagna.
Le ragioni dell’espatrio
L’esodo costante dei giovani all’estero è anche il sintomo di manchevoli investimenti per la ricerca: nel 2018 i fondi per ricerca e sviluppo sono stati l’1.39% del PIL, rispetto ad una media europea del 2%. La fuga di cervelli però, non è gratuita per lo Stato italiano: le perdite sono sia economiche e legate alle competenze, che socio-demografiche. Una stima sui costi fiscali dell’emigrazione italiana divide il calcolo della spesa in costi sostenuti per l’istruzione di chi è emigrato e in perdita dei contributi che gli Expat avrebbero versato in Italia, ammontando a decine di miliardi di euro persi.
Come ogni fenomeno migratorio che si analizzi, bisogna considerare il framework dei push- pull factors. Tra i fattori di spinta c’è sicuramente un mercato del lavoro stantio, elitario (vedi riforma per l’accesso ai concorsi pubblici del Ministro Brunetta) e legato a logiche clientelari. Non tutti gli espatriati italiani però si inseriscono nella categoria “fuga di cervelli”, poiché uno sguardo oltre i confini nazionali è dato da una maggiore possibilità di crescita professionale; inoltre anche l’aver fatto l’ERASMUS ha inciso notevolmente sui meccanismi di ricerca di occupazione all’estero. Almalaurea ribadisce che, a fronte di una posizione lavorativa simile, gli stipendi negli altri Paesi sono maggiori del 61%. Un indagine di Talents in Motion, riferendosi alle aspettative sul brain drain in tempo di Covid, afferma come il 16% degli intervistati sia d’accordo sul fatto che ci siano più opportunità professionali rientrando in Italia ora, mentre il 50% pensa che la pandemia non arresti la fuga all’estero.
La pandemia globale ha messo l’Italia di fronte alla necessità di capitale umano, convincendo diversi Expat a fare dietro front. Ma riuscirà l’Italia ad allentare la fuga all’estero dei giovani? Riusciranno le istituzioni a comprendere la validità di un ricambio generazionale nel mondo del lavoro anziché trattenerlo alla sua senile stagnazione? Si comprenderà l’importanza del valorizzare il talento italiano senza che ciò venga fatto poi oltre confine? Quanto saranno validi i mutui per giovani con garanzia statale previsti dal PNRR se già di base vi è difficoltà a reperire un lavoro?
Oggi tendiamo molto a concentrarci su chi arriva in Italia mettendo in secondo piano la perdita multilivello dovuta ai tanti giovani che lasciano il bel Paese: nel 2019 a fronte degli 11.439 sbarchi in Italia, 131 mila persone sono andate via. Qual è quindi la reale emergenza, gli arrivi o le partenze?