Brexit: l’accordo tra Unione europea e UK è realtà
Dopo quasi 5 anni dal famosissimo referendum del 23 giugno 2016 il Regno Unito è riuscito finalmente a separarsi dall’Unione europea, scongiurando l’ipotesi di un no deal. Il 28 aprile scorso il Parlamento europeo ha infatti approvato in maniera definitiva l’accordo sugli scambi e la cooperazione tra Unione europea e il Regno Unito, che ne definisce soprattutto le relazioni commerciali, lasciando però ancora molti spazi aperti su altri settori egualmente importanti. Il medesimo accordo era entrato in vigore provvisoriamente il 1° gennaio 2021, dopo un anno di complessi negoziati.
L’accordo è la prova definitiva che si è trattato di una Soft Brexit, ancora vantaggiosa per le relazioni internazionali tra UK e UE, che ha evitato un fortissimo shock economico qualora si fosse presentata l’ipotesi di mancato accordo. Oltre a ciò, va detto che i punti fondamentali di interesse non sono solo commerciali, ma riguardano anche la sicurezza e la collaborazione nel campo dell’intelligence, la lotta al cambiamento climatico, la ricerca scientifica (anche con riferimento i vaccini anti Covid-19). Una Hard Brexit avrebbe pertanto segnato negativamente i futuri rapporti anche in queste aree.
Cosa prevede l’accordo?
Il disegno iniziale dei Brexiteers era una intesa che avrebbe permesso al Regno Unito la piena sovranità su immigrazione, aiuti di Stato, mercato interno e accordi commerciali con il resto del mondo. Tuttavia, tali condizioni avrebbero violato l’Accordo di Recesso approvato il 17 ottobre 2019 ed entrato in vigore il 1° febbraio 2020, in conformità con la procedura di cui all’articolo 50 del TUE (Trattato sull’Unione europea). Trascorso il periodo di transizione, lo scorso 31 dicembre 2020 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’UE l’Accordo sugli scambi e la cooperazione tra l’Unione europea e il Regno Unito.
L’accordo definisce il Regno Unito nella condizione di Stato terzo rispetto all’organizzazione e basa i futuri rapporti su quattro pilastri: un accordo di libero scambio (con un’ambiziosa collaborazione in materia economica, sociale, ambientale e nel settore della pesca); un partenariato economico e sociale; una collaborazione in materia di sicurezza dei confini e dei cittadini (allo scopo di combattere la criminalità e il terrorismo internazionale); un sistema di governance condiviso sull’applicazione dell’accordo. Non sono previste clausole relative alla politica estera, alla sicurezza e alla difesa -con l’eccezione della sicurezza cibernetica- per volontà di Londra, data la sua intenzione di acquisire un maggior grado di indipendenza sulla scena internazionale, preferendo l’uso di accordi bilaterali o multilaterali ad hoc. Anche con riferimento alla politica migratoria, il Governo britannico ha preferito mantenere un approccio flessibile, per poter meglio gestire i suoi interessi a seconda delle circostanze.
La futura collaborazione italo-britannica
L’Italia e il Regno Unito vantano una lunga collaborazione nel settore della difesa, in particolare sul piano politico-militare, operativo e industriale. Nel tempo, la partnership strategica tra i due Paesi è andata ad inserirsi in un più ampio quadro di collaborazione a livello europeo, tramite accordi e programmi congiunti.
Eppure, gli ostacoli a un futuro coordinamentofuori dell’UE si presentano specialmente da parte italiana piuttosto che britannica. Questo perché gli impegni europei sono stati adottati, nel tempo, in maniera diversa. Da un lato il Regno Unito ha sempre mantenuto un approccio caratterizzato da un maggiore pragmatismo e da una visione più internazionale, che ha permesso un ampio utilizzo degli spazi legislativi non coperti dalle competenze dell’Unione europea. Dall’altro, il legislatore italiano ha invece trasposto le normative europee in maniera rigida, senza cogliere l’occasione per adattare le norme nazionali con un’impostazione più aperta e in linea con altri Paesi extraeuropei.
Alla luce di questa problematica, la Brexit e una possibile collaborazione italo-britannica, dovrebbe farci ripensare a una ricezione più elastica della normativa europea, allo scopo di non precludere la possibilità di gestire parallelamente rapporti privilegiati con Paesi estranei all’UE ma allo stesso tempo considerati amici e alleati.