Tutto quello che c’è di sbagliato nel discorso di Grillo
È stato pubblicato ieri il video di Beppe Grillo che, in un minuto e trentanove secondi, porta l’Italia indietro di venticinque anni. In un sistema giudiziario garantista, in cui i processi vengono fatti nei tribunali e gli imputati sono ritenuti innocenti fino a condanna definitiva, non si vuole entrare nel merito della presunta innocenza o colpevolezza dei ragazzi accusati di violenza sessuale, tra cui Ciro Grillo, figlio del politico genovese.
L’uscita infelice di Beppe, però, non può e non deve passare in secondo piano: «perché una persona che viene stuprata la mattina, e al pomeriggio va in kitesurf e dopo otto giorni fa la denuncia vi è sembrato strano? È strano!» sbraita Grillo ai suoi 1.7 milioni di followers su Facebook. Come se ci fosse una scheda prestabilita di comportamenti da seguire, un bel manuale rilegato della perfetta vittima di stupro. “Però era ubriaca e indossava una minigonna”. “Lui è il suo compagno, non può averla violentata”. “Ѐ salita in camera assieme a loro, doveva saperlo”. “Ha detto di no solo quando si era già spogliata” o, come vorrebbe Grillo: «una che viene stuprata la mattina e dopo otto giorni fa la denuncia, sembra strano?».
Una retorica che fa propri i miti dello stupro, credenze false e stereotipate che riguardano la vittima, lo stupratore e il contesto in cui avviene la violenza. Ecco che lo stupro ha luogo solo di notte, in luoghi malfamati della città; è perpetrato da un violentatore sconosciuto ed è sempre accompagnato da un elevato grado di violenza fisica, a cui la vittima deve aver opposto strenua resistenza. Meglio ancora se ne porta ben visibili i segni sul corpo. E, accanto a ciò, il biasimo nei confronti di chi subisce, i cui comportamenti vengono messi a processo per minimizzare e legittimare la violenza.
Le parole di Grillo non solo sono uno schiaffo in faccia a chiunque abbia mai subito violenza, ma neutralizzano anche i tentativi di coloro che cercano di ridare voce alle vittime, incoraggiando la denuncia. Perché quando la vittima diventa l’imputato stesso, la violenza viene subita due volte.