L’Unione europea, la Turchia e i flussi migratori
Negli ultimi tempi la Turchia sta facendo molto parlare di sé e del suo regime repressivo che osteggia qualsiasi tipologia di spirito democratico e reprime ogni forma di disobbedienza civile, tenendo in stallo così anche il processo di adesione del Paese all’Ue.
La scorsa settimana la ricordiamo per il caso del “sofagate”, ma l’obiettivo di quel summit ad Ankara non era quello di lasciare la presidente della Commissione Ue senza un posto a sedere, bensì quello di distendere i rapporti euro- turchi. Tra i vari intenti del vertice, vi era quello di rinnovare il controverso accordo del 2016 in materia di migrazioni con il quale l’Ue si era impegnata a finanziare con 6 miliardi di euro la Turchia perché espletasse azioni di contenimento dei flussi migratori, anche tramite il meccanismo di reinsediamento 1:1, e fornisse assistenza ai 4 milioni di profughi siriani, e non, che si trovano su suolo turco.
Su quei fondi Ue però, nel 2018 è stata aperta un’inchiesta che ha rivelato come siano stati utilizzati per comprare materiale militare per sorvegliare le frontiere anziché investirli in aiuti umanitari e nella costruzione di scuole ed ospedali. Un anno fa circa, Erdogan minacciò di riaprire il confine greco- turco accusando l’Ue di non aver adempiuto totalmente agli obblighi finanziari così che Bruxelles si apprestasse a finire di versare l’ultima tranche di aiuti.
Con una chiara diminuzione delle partenze verso l’Europa, l’Ue ha optato per la continuità della cooperazione con la Turchia in materia migratoria (non tenendo in considerazione la vacuità dello Stato di diritto nel Paese) e presenterà una proposta di finanziamento per assistere i rifugiati siriani anche in Giordania e Libano, nonostante nel 2019 fosse emerso il sospetto di casi di “push back” effettuati, sotto forma di ritorni volontari, dalla Turchia verso le “unsafe areas” della Siria.
Affidare la gestione dei più vulnerabili ad un regime dittatoriale, è solo la dimostrazione di un’Europa che continua a perseguire una linea di policies migratorie alquanto affarista, lacunosa ed opaca.