I giovani al voto: assenti o esclusi?
L’affluenza alle urne rappresenta un indicatore importante di come i cittadini partecipano alla vita politica del proprio Paese. Una maggiore affluenza alle urne, infatti, viene vista come un segno di vitalità della democrazia, mentre una minore affluenza viene di solito associata all’apatia degli elettori o alla loro sfiducia nei confronti della politica. La società civile si mostra quindi preoccupata quando i cittadini scelgono di non votare e il calo di affluenza registrato negli ultimi anni in Europa è stato visto da molti come un fenomeno allarmante. Secondo il report pubblicato nel 2016 dall’International Institute for Democracy and Electoral Assistance, infatti, le democrazie europee considerate ormai consolidate hanno assistito solo negli ultimi 25 anni ad un calo di affluenza alle urne pari al 10%. Tali dati sembrano trovare conferme anche nel nostro Paese. A partire dagli anni Ottanta, infatti, l’Italia ha registrato un calo di affluenze sempre più alto: dal 95% al 72% nelle ultime elezioni politiche, il dato più basso nella storia repubblicana.
Voto e giovani: astensionismo e problemi demografici
In Italia si parla da tempo del generale calo di affluenza da parte della popolazione, specialmente quella più giovane. L’astensionismo dei giovani, infatti, è un problema ormai noto da anni ma è stato nuovamente sollevato in seguito alla bassa affluenza registrata ai referendum sulla giustizia e alle elezioni amministrative dello scorso giugno. I motivi di tale astensionismo sono molteplici, a partire dall’incapacità dei partiti di portare avanti questioni e grandi temi vicini ai giovani, alla sempre maggiore disillusione verso la politica, accresciuta ulteriormente dopo l’ultima (e ormai ennesima) crisi di governo.
Molti giovani, infatti, non credono nell’utilità del proprio voto o nella possibilità di essere protagonisti della vita democratica del proprio Paese. Questo perché chi di loro ha tra i 18 e i 24 anni sa di rappresentare solo l’8% della popolazione attesa alle urne: una percentuale che è crollata di 10 punti in vent’anni, in un Paese ormai afflitto dalla bassa natalità e dalla cosiddetta “fuga all’estero”, che negli ultimi anni ha visto quasi 250 mila ragazzi italiani lasciare il paese. Di conseguenza, la comunicazione politica e i programmi dei partiti si rivolgono principalmente agli elettori più anziani (perché sono di più e presentano tassi di astensionismo più bassi), facendo sentire i giovani ulteriormente marginalizzati. Secondo alcune stime di Ipsos, infatti, il 71% dei Millennials e della Generazione Z ritiene che i politici non comprendano la vita dei giovani e il 58% di loro afferma di non fidarsi di nessuno.
Tuttavia, se è vero che una parte consistente delle persone che decidono di non votare lo fa perché non si riconosce nella classe politica, è anche vero che per i giovani si deve parlare anche di effettive difficoltà nell’accesso al voto: un problema non poco rilevante è quello dei fuorisede.
Il problema (ancora) irrisolto dei fuorisede
Un rapporto redatto quest’anno dalla commissione istituita dal ministro per i Rapporti col parlamento, Federico D’Incà, stima che almeno 2 milioni di italiani vivano a più di due ore di auto dal proprio seggio. In tutto quelli che vivono in un luogo diverso da quello in cui hanno la residenza sono 5 milioni: circa il 10% dell’elettorato.
Il fenomeno del cosiddetto “astensionismo involontario”, di chi non ha i mezzi o le risorse per tornare a votare nel proprio comune di residenza, potrebbe quindi incidere in modo significativo sulle prossime elezioni politiche. Ciò vale maggiormente per i più giovani, se si considera che nelle ultime settimane di settembre sono spesso fissati appelli di esami universitari o di lauree da cui deriva un vero e proprio impedimento per chi studia da fuorisede.
In Italia, infatti, per votare è necessario recarsi in una sezione del proprio comune di residenza, mentre chi si trova temporaneamente all’estero o è iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (A.I.R.E) può votare per corrispondenza. Non esistono però meccanismi simili per chi si trovi in Italia ma viva in un comune diverso da quello di residenza. Per cui, paradossalmente, è più facile votare per chi si trova in Germania che per chi vive a Torino ma ha la residenza a Catanzaro.
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Costituzione italiana. Articolo 3, comma2
La partecipazione dei cittadini all’organizzazione politica del Paese viene quindi riconosciuta dalla Costituzione come un diritto che lo Stato deve garantire. Tuttavia, questo impegno da parte dello Stato è stato spesso disatteso e l’incapacità di adempiere a tale compito sembra esistere solo in Italia, unico Paese europeo insieme a Malta e Cipro a prevedere il voto a distanza solo in casi eccezionali (se ci si trova temporaneamente all’estero, in ospedale, in prigione ecc.). In Spagna, per esempio, può richiedere il voto per corrispondenza chiunque preveda di non trovarsi il giorno delle elezioni nel proprio seggio elettorale o chiunque sia impossibilitato a presentarsi per ragioni di disabilità fisica. Il voto per corrispondenza prevede infatti che le schede elettorali vengono inviate per posta agli elettori, che in questo modo possono votare in un luogo diverso dalla propria residenza. Come in Spagna, il voto per corrispondenza è possibile anche in Lussemburgo, Germania, Irlanda, Austria, Slovenia, Regno Unito, Polonia e in Ungheria (quest’ultima non certo tra i campioni europei della democrazia).
Altri Paesi, come ad esempio la Francia, hanno invece cercato di far fronte al problema ricorrendo al voto per delega, a cui possono appellarsi tutti gli elettori che saranno assenti il giorno delle elezioni. L’elettore assente, infatti, può scegliere una persona che voti al suo posto senza dover fornire alcuna giustificazione per la propria assenza. Oltre la Francia, possono votare per delega anche i cittadini di Regno Unito, Polonia, Belgio, Paesi Bassi e Svezia.
In Portogallo, invece, nonostante il voto si basi sulla presenza fisica dell’elettore al proprio seggio, è stata prevista una procedura di voto speciale: quella del voto anticipato, che permette a chiunque non sia presente il giorno delle elezioni di poter votare in anticipo. Questa modalità di voto è presente, oltre che in Portogallo, anche in Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Estonia e Danimarca.
L’Estonia, infine, è l’unico Paese al mondo ad aver implementato il voto elettronico. Negli altri Paesi, infatti, l’e-voting ha spesso incontrato critiche e problemi legati alla segretezza dei dati, nonostante sia considerato uno strumento efficiente e conveniente e oggi in Estonia circa un terzo dei voti vengano espressi via Internet. Anche in Italia, nel luglio 2021, il Ministero dell’Interno e il Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale hanno adottato un decreto per la sperimentazione del voto elettronico. Sulla base delle linee guida approvate, la sperimentazione sarà comunque graduale, prevedendo prima una simulazione priva di valore legale e, successivamente, l’utilizzo formale del voto elettronico in un’elezione.
Voto e giovani: qualcosa si muove?
Alla luce di quanto accade negli altri Paesi europei, sembra quindi incomprensibile che l’Italia non abbia ancora permesso il voto a distanza a chi vive in un comune diverso dalla propria residenza e sono molti a giudicare paradossale questa situazione, dal momento che il diritto di voto per gli italiani all’estero viene invece garantito. Tra questi, il comitato “Iovotofuorisede” e l’organizzazione non profit The Good Lobby, che da tempo si battono per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, hanno promosso una petizione al Parlamento e al Governo per far approvare una legge che garantisca il diritto di voto ai fuorisede.
Ma negli ultimi anni sono state tante le proposte. Solo a maggio 2021, sono state sottoposte all’esame della Commissione cinque proposte di legge sul tema: una di iniziativa popolare e quattro di iniziativa parlamentare. Tra queste ultime c’è anche quella portata avanti da Marianna Madia, deputata del Partito Democratico (PD), che avrebbe permesso a chiunque di poter votare in un comune diverso da quello di residenza in caso di assenza per motivi di studio, di lavoro o di cura. Dopo l’avvio dell’esame in Commissione, però, il Ministero dell’Interno ha deciso di rallentare l’iter legislativo sollevando alcune obiezioni. I dubbi del Ministero riguardavano infatti i possibili ritardi nello spoglio e il rischio di riconoscibilità del voto, che potrebbero violare quanto stabilito dall’Articolo 48 della Costituzione che stabilisce che il voto deve essere «personale ed eguale, libero e segreto».
Con la caduta del governo Draghi, tuttavia, la discussione del disegno di legge è saltata e il problema continua oggi a rimanere irrisolto. Per questo, i due esponenti di +Europa, Emma Bonino e Riccardo Magi, hanno deciso di presentare un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno e di lanciare una raccolta firme per promuovere in Parlamento l’adozione di una legge sul voto a distanza. Non solo. Dopo le dimissioni di Mario Draghi, con l’hashtag #20e30, lanciato inizialmente dalla pagina Instagram “Aqtr” (Aggiornamenti quotidiani dalla Terza Repubblica), sono state raccolte nel giro di poche ore frustrazioni e urgenze di migliaia di giovani, i quali hanno rivolto alla classe politica diverse richieste (diritto di voto ai fuorisede, investimenti per università e ricerca, riforme per l’istruzione, programmi energetici concreti, ecc.). Lanciata come una sfida ideologicamente apartitica e trasversale per rimettere al centro della politica i giovani, l’iniziativa è riuscita ad arrivare ad alcuni partiti che hanno deciso di aderire al programma: da Volt al Movimento 5 Stelle, passando per il Partito Democratico, Azione, Italia Viva, Radicali, +Europa, Possibile, Articolo Uno e Alleanza Verdi e Sinistra.
Ciononostante, salvo un intervento straordinario (e difficilmente immaginabile) del Ministero dell’Interno, alle elezioni del 25 settembre quasi 5 milioni di italiani rischiano di vedere ostacolata la loro «effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Il 10 % dell’elettorato, infatti, dovrà scegliere se tornare a casa per esprimere la propria preferenza, compiendo uno spostamento obbligatorio e complicato, gravoso soprattutto per chi ha meno disponibilità economiche, come nel caso di studenti e lavoratori precari. Quindi, mentre le Camere si interrogano sulle ragioni dell’astensionismo e della disaffezione dei giovani verso la politica, il voto a distanza rimane ancora una chimera e una grande fetta di elettorato (soprattutto giovane) rischia di rimanere inespressa.
Non resta che chiedersi se sono i giovani ad aver perso interesse per la politica, o se è la politica a non avere più interesse nei confronti dei giovani.