La Costituzione italiana si tinge di green…washing
L’8 febbraio 2022 ha rappresentato una data certamente importante per la nostra Costituzione che è stata sottoposta a un ampliamento degli articoli 9 e 41, i quali si propongono l’obiettivo di tutelare al massimo livello l’ambiente e gli animali. Sebbene tali emendamenti vadano accolti positivamente, è innegabile che vi siano molteplici criticità da sottolineare. Lo Stato italiano è realmente in grado di rispettare i fondamenti in questione? Inoltre: cosa si intende di preciso con “tutela degli animali”? Nel complesso, dunque, ci si chiede se si stia andando realmente nella giusta direzione o se, al contrario, manchi ancora quell’impegno concreto che gli Stati faticano a prendere seriamente nel contrastare la crisi climatica.
La revisione costituzionale
Un primo aspetto da considerare sono le modifiche approvate dal Parlamento italiano. Nella fattispecie, l’articolo 9 della Costituzione è stato integrato con un terzo comma:
Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
Mentre per quel che concerne l’articolo 41, vi è stato un ampliamento delle sfere d’azione:
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Gli obiettivi prefissatosi dal Legislatore italiano appaiono ambiziosi, specialmente in virtù del fatto che tali principi vengono contemplati dalla Carta fondamentale del nostro Paese. La rilevanza di tali modifiche merita ancor più attenzione se si considera che si tratta di principi in linea con un’idea di sviluppo sostenibile. Le generazioni future subiranno gli effetti negativi della crisi climatica e pertanto è opportuna una presa di posizione su più piani, tra cui quello giuridico. Va da sé che casi analoghi sono sempre più frequenti (come per esempio la storica sentenza tedesca), e denotano quanto il diritto si stia gradualmente allineando a quelle che sono le istanze delle fasce più giovani, le quali subiscono pesantemente anche gli effetti psicologici della drammatica situazione in cui ci troviamo. Mentre le conseguenze della crisi divengono sempre più visibili nel nostro Paese, una tale presa di posizione è ora più che mai imprescindibile, per quanto arrivi con un ritardo inaccettabile.
Tra ipocrisia e greenwashing
Le integrazioni in questione, tuttavia, vanno accolte con qualche riserva, perché se è vero che si tratta di un primo, timido passo, è ancor più vero che è lontano dall’essere sufficiente per rispettare i vari trattati internazionali in materia. Le emissioni di CO2 dell’Italia nel 2020 sono state tra le più alte d’Europa e, pertanto, non stupisce il fatto che proprio la Pianura Padana sia l’area più inquinata del Vecchio Continente. Inoltre, è preoccupante l’ondata di siccità anomala che sta colpendo il Po in questi giorni, nonché la scarsità generalizzata di piogge degli ultimi mesi.
Come già rimarcato più volte in passato, fino a quando a tali atti non seguiranno azioni concrete e pianificate verso una direzione che si possa definire realmente sostenibile, essi non saranno che meri palliativi. Particolarmente preoccupante è, in quest’ottica, il ricorso sempre più sfrenato al greenwashing sia da parte delle aziende che dalla politica. Ne è un chiaro esempio la recente edizione di Sanremo, il cui principale sponsor è stato Eni, rientrante a pieno titolo tra le aziende più inquinanti del nostro Paese. Inoltre, i recenti rincari sulle bollette hanno portato ad una vertiginosa crescita dei suoi introiti, che verranno destinati prevalentemente allo sfruttamento di giacimenti fossili. A guardare più in profondità, va evidenziato come Eni abbia un ruolo da non sottovalutare in Kazakhistan, mettendo in luce la profonda interdipendenza tra transizione ecologica ed equilibri geopolitici.
Questo quadro, già di per sé sufficientemente discutibile, diviene ancor più preoccupante se consideriamo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha il controllo di fatto della multinazionale, con tutte le implicazioni politiche del caso.
Sulla base di quanto detto sin qui, emergono già prepotentemente le prime contraddizioni interne delle modifiche costituzionali “verdi”, dal momento che lo stesso Stato italiano dimostra di non attenersi ad esse. In più, appare quantomeno nebuloso il passaggio circa la “tutela degli animali,” specialmente se si considera che in Italia la caccia non è vietata (la raccolte firme per il referendum non è andata a buon fine), e gli allevamenti intensivi sono ancora una drammatica realtà, con conseguenze notevoli sull’ambiente.
Inoltre, è innegabile che tali azioni si possano considerare fortemente speciste se si considera la distinzione tra animali da reddito e domestici regolamentata nel nostro ordinamento giuridico. Chi decide quali siano gli animali che “meritano” di essere tutelati dalla nostra Costituzione? E secondo quale principio? Occorre ragionare su ciascuno di questi punti, e superare la concezione secondo cui gli esseri viventi non umani esistano unicamente per essere sfruttati a nostro piacimento, o che esista una gerarchia che ne stabilisce la dignità e il diritto alla vita. Tali istanze stanno guadagnando slancio tanto all’estero quanto nel nostro Paese dove, non a caso, il numero di persone che si avvicinano al vegetarianismo e al veganismo è in forte aumento.
Continuare a non vedere la stretta connessione tra ambiente e salvaguardia degli animali denota, ancora una volta, la miopia delle forze politiche attualmente in campo. Le industrie della carne e dei latticini sono responsabili di quasi il 60% dei gas serra, oltre ad essere spietate e oltremodo crudeli.
Nel complesso, dunque, è possibile affermare che si tratti di un passo importante quello compiuto dalle nostre istituzioni, ma ancora fortemente insufficiente. Modificare la Costituzione non sarà sufficiente senza politiche che non siano unicamente di facciata. La nostra generazione non ha bisogno di parole né di inutile greenwashing, ma di una pianificazione sul lungo termine che prenda in seria considerazione il benessere dell’intera collettività, inclusi gli animali e l’ambiente che condividiamo con essi.
Per riagganciarci all’immane tragedia che si sta verificando in Ucraina in questi giorni, basti pensare che il governo italiano ha dichiarato lo stato di preallarme per il gas, per il quale l’Italia dipende fortemente dalla Russia, e con stoccaggi superiori alla media europea. Sul tavolo delle ipotesi per sopperire a una possibile carenza vi sarebbe anche la riapertura di ben sette centrali a carbone, con conseguenze catastrofiche per la nostra salute e per l’ambiente. Ancora una volta, gli interessi di pochi individui modellano un mondo che non rispetta le istanze delle generazioni del domani. Quanto costerà alla transizione ecologica un’altra guerra in Europa?
Editing e fact checking a cura di Claudio Annibali