Cooperazione allo sviluppo: il ruolo dell’Italia
La cooperazione allo sviluppo, parte integrante della politica estera italiana, riformata completamente dalla Legge n.125/2014, viene così definita nella sua azione:
Contribuisce alla promozione della pace e della giustizia e mira a promuovere relazioni solidali e paritarie tra i popoli fondate sui principi di interdipendenza e partenariato
In conformità con i programmi e con le strategie internazionali e dell’Unione europea, persegue i seguenti obiettivi fondamentali:
- sradicare la povertà e ridurre le disuguaglianze, migliorare le condizioni di vita delle popolazioni e promuovere uno sviluppo sostenibile;
- tutelare e affermare i diritti umani, la dignità dell’individuo, l’uguaglianza di genere, le pari opportunità e i principi di democrazia e dello Stato di diritto;
- prevenire i conflitti, sostenere i processi di pacificazione, di riconciliazione, di stabilizzazione post conflitto, di consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche;
- mira a fornire assistenza, soccorso e protezione alle popolazioni di Paesi in via di sviluppo vittime di catastrofi.
L’adozione nel 2015 dell‘Agenda 2030 da parte dell’ONU ha imposto nuove sfide alla cooperazione internazionale e italiana che si è dovuta allineare agli obiettivi sostenibili delineati dalle Nazioni Unite.
La visione strategica della cooperazione italiana
La Legge n.125, che rappresenta la base della cooperazione italiana, prevede l’adozione di un Documento a cadenza triennale. Questo Documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di Cooperazione allo sviluppo deve indicare la visione strategica, gli obiettivi di azione e i criteri di intervento; la scelta delle priorità delle aree geografiche e dei singoli Paesi; i diversi settori nel cui ambito dovrà essere attuata la cooperazione allo sviluppo. Deve inoltre esplicitare gli indirizzi politici e strategici relativi alla partecipazione italiana agli organismi europei e internazionali e alle Istituzioni finanziarie multilaterali.
Per il triennio 2021-2023, si sono già espressi favorevolmente il Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo (CICS) e le competenti Commissioni parlamentari. Lo Schema di documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo 2021-2023 è quindi alle sue ultime fasi, prima dell’approvazione finale.
La crisi globale generata dalla pandemia da Covid-19 ha rallentato il cammino verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in particolare in quelle aree critiche dove, come rileva il Rapporto delle Nazioni Unite The Sustainable Development Goals Report 2020, i progressi erano limitati.
Nel mondo post Covid-19 la visione strategica della Cooperazione italiana continua a essere incentrata sullo sviluppo sostenibile; una visione di medio e lungo periodo che ha come orizzonte di riferimento l’Agenda 2030 e i suoi pilastri. Per affrontare le sfide globali, la Cooperazione si baserà su iniziative multilaterali, senza fare a meno del canale bilaterale, un elemento imprescindibile.
Per quanto riguarda i settori di intervento, la priorità sarà data a iniziative mirate a promuovere: un’agricoltura ecologicamente sostenibile, un maggior accesso all’acqua pulita, sistemi di energia economici e sostenibili, istruzione e servizi di base.
Saranno prioritarie le iniziative volte al rafforzamento del lavoro dignitoso, dell’uguaglianza di genere e dell’empowerment delle donne, del contrasto a ogni forma di violenza e dell’accesso alla salute sessuale e riproduttiva.
Infine, i settori che riguardano un rafforzamento dei sistemi sanitari, investimenti nella prevenzione e nella preparazione alle pandemie, assicurando l’equità di accesso agli strumenti curativi, preventivi e diagnostici, a sostenere la ricerca, la produzione e l’equa distribuzione di farmaci, trattamenti e vaccini.
Quali sono le priorità geografiche dell’Italia?
L’impegno dell’Italia sarà rafforzato nelle principali aree di crisi, dall’Europa balcanica, al Medio Oriente, all’Africa, all’Asia, all’America Latina.
L’individuazione delle priorità geografiche tiene conto dell’esigenza di intervenire in Paesi che – per legami storici, relazioni bilaterali consolidate, scelte di politica estera, ragioni di stabilità e sicurezza internazionale, o per scelte basate sul reddito pro capite, indice di sviluppo umano, livello di povertà – rivestono particolare importanza per l’Italia, non solo per la loro vicinanza.
La priorità è assegnata a 20 Paesi:
- Africa Mediterranea: Egitto Tunisia;
- Africa Orientale: Etiopia, Kenya, Somalia, Sudan;
- Africa Occidentale: Burkina Faso, Mali, Niger, Senegal;
- Africa Australe: Mozambico;
- Medio Oriente: Giordania, Iraq, Libano, Territori Palestinesi;
- Europa balcanica: Albania (con competenza su tutta l’area);
- Asia: Afghanistan, Myanmar (seppur è in corso una riflessione dovuta alla difficile situazione del Paese);
- America Latina e Caraibi: Cuba, El Salvador.
L’aiuto pubblico allo sviluppo: un quadro generale
Le politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo a livello internazionale sono coordinate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), all’interno della quale si riunisce il Comitato per l’aiuto allo sviluppo (conosciuto con l’acronimo DAC).
L’obiettivo del DAC è quello di promuovere la cooperazione allo sviluppo e altre politiche pertinenti in modo da contribuire all’attuazione dell’Agenda 2030. Di questo Comitato fanno parte 29 Paesi, tra cui l’Italia, più l’Unione europea. Questi vengono definiti i “Paesi Donatori”.
Secondo gli impegni presi a livello internazionale (risoluzione ONU 2626 del 1970 e Agenda 2030), l’obiettivo di questi Paesi è quello di spendere almeno lo 0,7% del Reddito nazionale lordo (RNL) in aiuto pubblico allo sviluppo. Nel 2020 l‘Italia ha destinato solo lo 0,22% del RNL, una percentuale inferiore all’obiettivo intermedio dello 0,30% che il Paese si era prefissato per il 2020. L’Italia si impegnerà nei prossimi anni ad invertire questa tendenza, come stabilito anche dallo Schema di Documento triennale.
Ad oggi, comunque, solo 9 Paesi hanno almeno una volta raggiunto o superato tale impegno che si misura su scala annuale. Tra questi: Lussemburgo (1,02), Norvegia (1,11), Svezia (1,14), Danimarca (0,73) e Germania (0,73), Regno Unito (0,7%).