Lo stato di salute dell’UE: il 2022 sarà “l’anno europeo dei giovani”?
«Per quanto imperfetta, la nostra Unione è straordinaria nella sua unicità e unica nella sua straordinarietà. È un’Unione in cui consolidiamo la nostra libertà individuale attraverso la forza della nostra comunità. Un’Unione plasmata tanto dalla nostra storia e dai nostri valori condivisi quanto dalle nostre culture e prospettive diverse. Un’Unione con un’anima».
Ursula von der Leyen, Discorso sullo stato dell’unione 2021
Settembre, mese di bilanci anche in casa europea. Come ogni anno dal 2010, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è presentata davanti al Parlamento per condividere i progressi e rilanciare i nuovi obiettivi dell’UE. Il discorso sullo stato dell’Unione, oltre ad essere una manifestazione di intenti per mesi a venire, è anzitutto un momento di riflessione sullo stato di salute dell’Unione, dei suoi organi e, di riflesso, anche dei suoi 27 Stati membri.
Parlare di “stato di salute” di un’istituzione significa innanzitutto prendere in considerazione due parametri fondamentali: accountability e responsiveness, ovvero responsabilità politica e percezione di rappresentanza. Entrambe le dimensioni si declinano in indicatori e quindi in dati, raccolti ed elaborati periodicamente in sondaggi d’opinione diffusi dall’Eurobarometro. L’ultimo, dello scorso agosto, restituisce un quadro nitido rispetto al posizionamento dell’Unione rispetto ai due parametri sopracitati.
Un’Europa meno scettica?
Cresce il livello di fiducia nelle istituzioni, più della metà degli europei valuta positivamente l’impegno dell’Unione negli ultimi mesi. Sono soprattutto i ragazzi tra i 15 e i 24 anni a risollevare questo dato, mai così elevato dal 2008, quando ancora la parola “crisi” non aveva invaso i discorsi politici europei.
Sembrano ricredersi soprattutto gli italiani, nel 2020 solo il 28% professava un certo grado di fiducia nelle autorità di Bruxelles, risultato che si gonfia di ben 25 punti a distanza di un solo anno.
In generale, il diffuso ottimismo rilevato è da ricondursi essenzialmente al lancio del NextGenerationEu e alle relative risorse economiche stanziate, tuttavia solo il 45% dei cittadini europei si dichiara pienamente convinto di una futura corretta gestione del fondo da parte delle proprie autorità nazionali. Ne consegue che pressoché la totalità degli intervistati sia unita nel reclamare maggior trasparenza e controllo in tale frangente. Una richiesta unanime che, dall’altro lato, rende invece palpabile la riduzione del grado di accountability delle singole istituzioni nazionali.
Campagna vaccinale: il fronte che divide l’Europa
Sul fronte vaccinazioni la platea appare invece spaccata in due. Nonostante le parole di elogio di von der Leyen allo sforzo europeo nella campagna vaccinale, metà Europa si professa ancora poco convinta della strategia intrapresa. D’altro canto, le stesse scissioni si replicano anche nei singoli contesti nazionali, a riprova del fatto che il sentimento nei confronti del tema sia ancora difficile da valutare nel suo complesso, distinguendo le rispettive responsabilità politiche.
Convince invece l’introduzione del certificato COVID digitale, giudicato come una misura valida da circa due terzi degli intervistati. È importante però sottolineare che il cosiddetto Greenpass, al momento, rappresenta per molti Stati membri principalmente un lasciapassare per i viaggi intraeuropei e una condizione obbligatoria solo per un numero ristretto di attività legate al tempo libero.
Nuovi obiettivi ambiziosi ma anche ammissioni di colpe
L’Unione è imperfetta, von der Leyen non lo nega, anzi, lo ammette apertamente, ma nel suo stato di incompiutezza essa è perfettibile, migliorabile. Il cambiamento richiede però slancio e soprattutto obiettivi realizzabili e non false promesse.
Ecco che allora nel rivendicare i meriti europei, primi fra tutti l’acquisto e la distribuzione dei vaccini, la Presidente rilancia l’idea di un’Europa più incisiva a livello globale e capace di condividere un orientamento comune in materia di difesa. Auspici nobili, pertinenti quanto ambiziosi, se si pensa che solo l’idea di un esercito comune è entrata (e uscita) dall’Agenda europea ripetutamente dagli anni ’50 ad oggi.
Altra menzione per la questione climatica, considerata dai cittadini prima priorità da perseguire. La presidente richiama i risultati raggiunti ma non nasconde i fallimenti. Nel 2030 non potremo raggiungere l’obiettivo di limitare a 1,5°C il riscaldamento globale ma ancora molto si può fare per la riduzione delle emissioni.
Un discorso impregnato dei concetti di responsabilità e futuro (le parole sono state citate complessivamente 18 volte). Delors più di trent’anni fa si chiedeva: «Come si può costruire l’Europa se i giovani non la vedono come un progetto collettivo e una rappresentazione del loro stesso futuro?». Von der Leyen oggi risponde calando l’asso, proponendo di ribattezzare il 2022 “anno europeo dei giovani”. D’altro canto, sono proprio i giovani ad aver manifestato maggior fiducia nelle istituzioni europee, e se un riconoscimento è pur sempre un dono gradito, un’azione concreta risulta quanto mai un atto dovuto per non perdere quel poco di margine positivo strappato con fatica dopo anni di disappunto.
Editing e fact checking a cura di Claudio Annibali