Questione di muri: il confine tra Grecia e Turchia
Alla fine del secondo conflitto mondiale, si contavano appena sette muri nel mondo a separare gli Stati. Pochi anni dopo, nel 1961, venne costruito l’emblema della polarizzazione mondiale durante la guerra fredda: il Muro di Berlino. Era la sera del 9 novembre del 1989 quando G. Schabowski, rappresentante del Governo della Repubblica Democratica Tedesca (DDR), rilasciò un’intervista ambigua durante una conferenza stampa. A causa della molteplicità di domande a cui stava rispondendo, affermò confusamente che ogni cittadino della DDR poteva, da quel momento, uscire oltre i confini dello Stato. Quella sera, la popolazione che aveva vissuto a Est del muro per quasi trent’anni si riversò subito ai varchi al confine con Berlino Ovest. Solo circa un anno dopo, però, sarebbe iniziato lo smantellamento fisico del muro.
Quell’evento segnò la fine di un’era, la fine di un mondo diviso in due e di esperimenti politici che avevano avuto importanti risvolti sociali e psicologici nell’intero panorama mondiale. Dopo quasi un trentennio, si credeva finalmente eliminata la distinzione tra il “noi” e “voi” e in tutto il mondo si respirava un’aria di solidarietà e festa per quella tanto agognata riunificazione. Con la caduta del muro, Francis Fukuyama parlava di “Fine della storia”, riferendosi a questo evento come uno dei più eclatanti avvenuti nel ventesimo secolo. Di fatto, si stava assistendo a una profonda trasformazione del mondo che avrebbe segnato anche gli anni a venire. La globalizzazione avrebbe poi dovuto portare all’abbattimento delle frontiere, ma la situazione si è rivelata l’opposto: ulteriori muri sono state eretti, portando alla separazione e polarizzazione del mondo in sending countries e host countries e alimentando così dissidi tra i vari attori internazionali e nazionali. Ad oggi, un Paese su tre ha costruito barriere difensive attorno al suo territorio e proprio l’Europa appare il continente più diviso.
Costruzione di muri e sicurezza nazionale
Alla domanda: “Perché si costruiscono muri oggi?”, la risposta più gettonata è sempre legata a questioni securitarie e di difesa. Facendo un passo indietro a una delle fasi salienti del processo di integrazione europea negli anni novanta, la Convenzione di Schengen prevedeva la libera circolazione dei cittadini tra Stati firmatari e l’abolizione dei controlli alle frontiere. L’attacco alle Torri Gemelle e i successivi attentati in varie città europee hanno portato a un cambio di direzione che fa capo alla “dottrina della sicurezza nazionale”. Questo concetto risulta oggi ancora ambiguo e di flessibile interpretazione in base a criteri soggettivi, alle esigenze storiche e ai bisogni politici. Ciò lascia dedurre come la sua definizione non possa essere universalmente condivisa, variando quindi nel tempo e nello spazio, con la necessità di essere costantemente ridefinita. Qualsiasi Stato che adotti strategie di sicurezza nazionale fa riferimento a un “nemico” dal quale si sente minacciato e deve proteggersi. Spesso, la valutazione del pericolo in cui lo Stato pensa di incorrere non è però concreta e le misure che vengono adottate sono di gran lunga superiori a quella che è la reale minaccia. Pertanto, la difesa non è proporzionale all’attacco.
“Borders, Fences and Walls: State of Insecurity?”
Uno studio eseguito da Elisabeth Vallet, professoressa di geografia dell’Università del Quebéc a Montreal, e intitolato “Borders, Fences and Walls: State of Insecurity?” afferma come ad oggi ci sarebbero almeno 40 mila km di muri tra e nei vari Stati in tutto il mondo. Se da una parte l’Europa ha visto l’eliminazione delle barriere tra gli stati europei con l’acquis di Schengen, dall’altra continua ad apporre barriere. I muri di oggi sono però per lo più metallici e dotati di tecnologie sperimentali e digitali. Ponendo attenzione proprio sul continente europeo, la situazione che oggi si presenta tra i confini o nei singoli Stati è la seguente:
· A Cipro un muro separa la parte greca dell’isola da quella turca;
· A Ceuta e Melilla, in Marocco: le enclave spagnole sono circondate da un muro anti-migranti;
· Tra Serbia e Ungheria si erge un muro anti-ingressi;
· Serbia, Ungheria e Croazia: ancora un’altra barriera costruita allo scopo di contenere i flussi migratori;
· Bulgaria e Turchia sono divise da oltre 200 km di rete in filo spinato, sempre in funzione anti-migranti;
· Tra Austria e Slovenia ci sono 3 km di filo spinato che serve per esercitare un maggiore controllo sui profughi che attraversano la rotta balcanica;
· Tra Norvegia e Russia lo sbarramento è stato costruito per evitare gli ingressi illegali;
· Tra Repubbliche baltiche e Russia varie recinzioni sono state erette in difesa dalla “minaccia russa”;
· Tra Lituania e Bielorussia è in corso l’edificazione di un muro di 508 km per arginare l’ondata migratoria bielorussa;
· Tra Polonia e Bielorussia è in corso la fabbricazione di una barriera anti-ingressi di 130 km;
· In Irlanda del Nord le Peace Lines che separano le città di Belfast e Derry dividono cattolici e protestanti;
· A Calais, in Francia, il muro serve per evitare che i profughi che si trovano sul territorio francese raggiungano l’Inghilterra;
· Tra Grecia e Turchia i 40 km di recinzione high-tech sono volti a impedire nuovi ingressi nel vecchio continente;
Il confine greco-turco
L’avanzata dei talebani in Afghanistan e l’insediamento di un nuovo regime islamico in Medio Oriente fa prevedere una nuova ondata di profughi che tenteranno di raggiungere l’Europa. Si prospetta un ispessimento dei flussi lungo la rotta migratoria orientale, che confluisce in quella balcanica, con protagoniste Grecia e Turchia.
Già nel 2015, la Grecia e la Turchia, Paesi situati lungo il cosiddetto “Confine Mediterraneo”, hanno risentito in maniera maggiore del grande afflusso di genti provenienti dall’area del Medio Oriente e il Nord Africa (MENA): gli oltre 850 mila profughi recatisi in quell’area hanno contribuito a rimettere in discussione l’intero sistema statale. Da quando è iniziata l’emergenza migratoria, non si è dunque mai seguita una linea continua e coerente di policies migratorie in questi territori, mentre sono cresciuti sentimenti di tipo xenofobo che hanno spinto i governi ad adottare misure ferree nei confronti di profughi e migranti. Diverse ONG e associazioni operanti sul territorio hanno espresso forti critiche e fatto denunce circa i trattamenti perpetrati dalle autorità nei confronti dei più vulnerabili, facendo ricorso anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). La debolezza socio-economica interna ai Paesi europei, che costituiscono i principali punti di approdo delle rotte migratorie, assieme all’islamofobia hanno contribuito ad apporre la maschera del nemico ai migranti. L’adozione di politiche migratorie sempre più stringenti e limitative ha poi contribuito a ridefinire i confini europei e costruire la “Fortezza Europa”.
Il muro che è stato recentemente completato al confine tra Grecia e Turchia costituisce una delle tante prese di posizione per rafforzare la difesa dei confini nazionali da una minaccia esterna: la barriera è lunga 40 km, dotata di apparecchiature di sorveglianza high-tech e un ingente apparato militare. La Turchia ha infatti richiesto all’Unione europea di prendersi la responsabilità delle future ondate di profughi afghani, mentre Michalis Chrisochoidis, il ministro greco per la Protezione dei cittadini, ha affermato come i confini greci rimarranno inviolabili.
Se l’erezione della cortina di ferro nell’Europa della guerra fredda aveva portato a Stati sostanzialmente più deboli, popoli sempre più isolati a causa della lotta per il dominio e a danni ingenti, la preistorica tradizione del costruire muri non sembra essersi certo arrestata nel 2021. Muri, confini, blocchi ai nuovi ingressi sono dinamiche complesse e limitanti da inquadrare anche nell’era dell’Europa di Schengen.